Una pillolina di fantascienza filosofica
di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia
«I miei libri più che fantascienza sono apologhi o racconti filosofici nella tradizione della letteratura francese dell’Illuminismo. Essi, però, presuppongono sempre una base scientifica o comunque una conferma alle ipotesi avanzate. In realtà, più che uno scientifico, mi considero uno scientista» affermava in un’intervista Stanislaw Lem,
autore del celeberrimo «Solaris».
La fantascienza, sin dai tempi d’oro, parte spesso da una profonda base filosofica: la stessa tematica del viaggio riflette essenzialmente la scoperta dell’Io che fin dall’Illuminismo prende piede. Se prima la coscienza era molto simile alla “statica mente” kantiana, dedotta e descritta nelle sue funzioni fondamentali di formatrice della materia grezza del mondo, nel romanticismo assistiamo al viaggio per ascoltare il suono primordiale del mondo che alberga di riflesso dentro di noi, come amava affermare anche il filosofo tedesco Friedrich Schelling, mentre il concetto di autocoscienza individuale e collettiva prendeva piede con la filosofia dello spirito di Georg W. F. Hegel.
Né si può negare che le scoperte della psicoanalisi da parte di Sigmund Freud e in modo più potente dal suo discepolo Carl Gustav Jung, oltre all’affermarsi della nozione di “durata” espressa in modo elegante dal filosofo francese Henri Bergson (ispiratore fra l’altro della «Ricerca del tempo perduto» dello scrittore Marcel Proust, quello del croissant, tanto per intenderci) abbiano nutrito l’immaginario collettivo compreso quello cinematografico, in particolare riguardo a mondi alternativi e a viaggi oltre i confini del tempo e dello spazio.
Tanto per fare qualche esempio – questa è solo “una pillola” – nella narrativa assistiamo al caso del «Piccolo robot smarrito» (1947), in cui il buon dottore Isaac Asimov mette in scena la figura di un robot in preda a vere e proprie crisi di coscienza. Una creatura meccanica di tipo NS-2, ma speciale (un po’ come quello de «L’uomo bicentenario») ha ottenuto dai suoi costruttori la possibilità di gestire con una certa libertà la Prima Legge della Robotica – ovvero: i robot non possono nuocere agli esseri umani o fare azioni che rechino loro danno – trovandosi quindi a dover decidere in che misura servirsi della propria libertà, con buona pace dell’imperativo categorico kantiano che prescrive un’etica del dovere puro e semplice, dell’incondizionato agire secondo princìpi morali universali.
Nel 1948, Alfred E. Van Vogt pubblica il romanzo «Mondo non-A», in cui applica a una vicenda avveniristica la logica anti aristotelica, in modo assolutamente straniante: i sillogismi hanno una vita molto breve, come si vedrà.
Negli anni ’50 proprio mentre infuria la «caccia alle streghe» della Commissione contro le Attività Antiamericane, diretta dal senatore McCarthy, e nel decennio successivo la fantascienza dà ampia prova delle sue capacità sovversive e filosofiche, incluso il capolavoro libertario di Robert Anson Heinlein «La luna è una severa maestra» con storie di “educazione morale” ispirate ai princìpi della libertà.
Nel 1978, il regista-filosofo Robert Altman firma la sua unica incursione nella fantascienza, con una pellicola non proprio facilissima, ma potente, quel «Quintet», ispirato al racconto «La lotteria di Babele» dello scrittore argentino Jorge Luis Borges, che sarà una profonda riflessione sul destino dell’uomo in un mondo prossimo alla fine: gli umani sono prigionieri nella terra piombata in una specie di era glaciale e l’unico passatempo è quello di giocare a Quintet, con la speranza di ottenere l’agognato premio, che si rivelerà poi essere il poter continuare a giocare.
Tornando indietro, nel film «L’invasione degli ultracorpi» (1956), per la regia di Don Siegel, i baccelli alieni che assumono le sembianze degli umani, mirano a distruggere la coscienza di questi ultimi per trasformarli in involucri privi di sentimenti e di volontà, annullando secoli di tradizione umanistica. Comunque si voglia interpretare il film (e il romanzo di Finney che lo ispirò) è simbolico il fatto che l’umanità mutata prefigura quella che negli anni successivi sarebbe stata conformata e istupidita dalla omologazione consumistica.
Risale al 1955 la prima riduzione su schermo di quel «1984» di George Orwell che dell’annientamento delle coscienze, operato da un potere dittatoriale, ha dato la rappresentazione più compiuta e angosciante. Diretto da Michael Anderson, il film – in italiano è noto con il titolo «Nel 2000 non sorge il sole» – è abbastanza esplicito nel descrivere il calvario del cittadino Winston ostinato nel coltivare la propria libertà di pensiero e per questo sottoposto al lavaggio del cervello e a terribili torture per essere poi fucilato. Al romanzo di Orwell s’ispira anche il regista Terry Gilliam con «Brazil» (1985).
Nella prima versione (1972) di «Solaris» – dal romanzo del sopracitato Lem – il regista Andrei Tarkovskij cerca di piegare quelle che lui chiama “scorie” tipiche del genere ai princìpi della sua poetica basata su una forma di spiritualismo “panico”, riuscendoci soprattutto nell’ultima scena. La magmatica sostanza del pianeta produce nella mente degli astronauti arrivati sul pianeta la materializzazione dei ricordi e delle ossessioni di ciascuno di loro, tanto che lo stesso protagonista si trova davanti il fantasma della sua fidanzata suicidatasi anni prima.
Concludo ricordando il bellissimo «Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville» (1965), diretto da Jean-Luc Godard e vagamente ispirato a un racconto di Peter Cheyney, in cui l’agente Caution è mandato in missione sul pianeta Alpha 60, dominato da un computer che ha soggiogato “alla logica” tutti gli abitanti, mettendo al bando qualsiasi tipo di comportamento irrazionale che viene punito anche con la morte. Emblematica la scena di Caution, che chiede spiegazione riguardo ad alcuni uomini abbattuti a colpi di fucile sul bordo di una piscina, sentendosi rispondere che erano condannate per aver agito in maniera illogica. Caution porterà scompiglio in quel mondo perfetto, facendo riscoprire a una donna del posto, tale Natascia, i sentimenti sopiti.
Perfetto il dialogo con il computer:
«Cos’è che trasforma la notte in luce?».
«La poesia» risponde Lemmy Caution.