Una prima vittoria a Narbolia

La nostra storia e quella dell’impianto di serre fotovoltaiche

del Comitato «S’arrieddu per Narbolia»

A inizio 2012 un gruppo di cittadini narboliesi vengono a sapere che

è stato approvato – e stanno per iniziare i lavori di costruzione – un impianto di serre fotovoltaiche per la produzione di energia. Preoccupati per l’enormità dell’impianto, che dovrebbe sorgere nei migliori terreni agricoli, completamente irrigati, del loro paese, si costituiscono in un Comitato Spontaneo dal nome «S’Arrieddu per Narbolia», prendendo il nome da una parte dei terreni che verranno occupati. Dopo varie peripezie riescono ad avere dal Comune copia dei progetti i quali, una volta esaminati, rivelano che si tratta di 1614 serre da 200 mq ciascuna, che copriranno 32 dei 64 ettari disponibili, sui tetti delle quali verranno installati 107.000 pannelli fotovoltaici che potranno produrre una potenza di circa 27 Mw. A sostegno delle serre, alte sette metri, saranno impiantati nel terreno circa 33.000 plinti da 1 mc ciascuno, equivalenti a circa 3 ettari e mezzo di cemento armato.

I terreni, del valore di 12.000 euro a ettaro e appartenenti a tre diversi proprietari, saranno acquistati dalla Enervitabio (srl di Paolo Magnani di Ravenna) al prezzo di 40.000 euro a ettaro. La Enervitabio – dopo aver cambiato il nome in Enervitabio S. Reparata (il nome della patrona di Narbolia) – con i suoi progetti é stata ceduta alla Win Sun Luxembourg, srl controllata dalla Win Sun di Hong Kong, finanziata dalla China Development Bank, che incasserebbe più di 6 milioni di euro di incentivi statali all’anno per 20 anni e quasi 3 milioni e mezzo di euro per la vendita della corrente prodotta annualmente, sempre per 20 anni.

Il Comitato – con il sostegno di Adiconsum Sardegna e Italia Nostra Sardegna, ai quali in seguito si è aggiunto anche il Wwf Sardegna – dopo aver attentamente esaminato i progetti scopre che non si tratta di produzione di prodotti agricoli, come prevede la legge, ma di produzione di energia, cambiando così la destinazione d’uso di importanti e fertili terreni agricoli. Il progetto è stato approvato dal Comune con la pratica semplificata Suap, e non dalla Regione, come prescritto, con l’Autorizzazione Unica, senza una Valutazione d’Impatto Ambientale, senza un vero piano di dismissione, smaltimento e ripristino, senza un vero e credibile piano agronomico che dimostri la prevalenza agricola dell’intera operazione e senza la dimostrazione del possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Vengono appurati quindi numerosi vizi di competenza, procedurali e di illegittimità e per tali motivi, dopo aver chiesto al Comune la revoca in autotutela delle autorizzazioni rilasciate, richiesta rimasta inevasa, vengono inviati diversi esposti ai vari enti coinvolti (Comune, Regione, Noe, Gse, ecc.) ai quali si aggiungono poi anche le Procure di Oristano e di Cagliari, il Tar Sardegna e il Tar del Lazio con le interrogazioni presentate prima al Consiglio Regionale da Claudia Zuncheddu (componente del Gruppo Misto) e poi al Parlamento da Roberto Cotti (Movimento 5 Stelle). Vengono organizzate diverse assemblee popolari e azioni di protesta durante una delle quali due allevatori, aderenti al Comitato, che cercano di bloccare le centinaia di betoniere che vanno e vengono incessantemente, vengono arrestati, processati per direttissima e condannati a 3 mesi con la condizionale.

Il Comitato organizza pranzi solidali, concerti e convegni e viene spesso invitato a manifestazioni di altre organizzazioni per testimoniare la sua esperienza. Durante tutti questi anni di lotta e mobilitazione il Comitato si è sempre reso propositivo cercando di far capire che il suo scopo non è il semplice contrasto a una simile dannosa imposizione: oltre alla richiesta del ripristino della legalità e del danno ambientale ha sempre evidenziato che si tratta ancora una volta di progetti piovuti dall’alto, spesso con la connivenza di pubbliche istituzioni e senza aver coinvolto la popolazione locale nel prendere decisioni così impattanti e importanti per il territorio. Il Comitato ha sempre evidenziato che ci troviamo ancora una volta di fronte all’agevolazione del monopolio della produzione e distribuzione di energia mentre invece con un’accorta gestione degli incentivi statali si sarebbe potuto raggiungere, risparmiando, l’obbiettivo della costruzione di impianti di produzione di energia per l’autoconsumo, determinando così una “democrazia energetica” diffusa nel territorio. E amcora il Comitato ha sempre evidenziato che ci troviamo di fronte a un vero e proprio accaparramento di terreni agricoli, per di più per scopi puramente industriali e speculativi, e che se almeno una parte dell’enorme mole di incentivi destinati alle energie rinnovabili sarebbe stata destinata alla incentivazione e valorizzazione del comparto agricolo regionale – con particolare attenzione ai piccoli e giovani agricoltori – sarebbe stato agevolato il raggiungimento di una certa sovranità alimentare, diminuendo drasticamente l’importazione dell’80% dei prodotti per il consumo agroalimentare dell’Isola e agevolando la creazione di veri e stabili posti di lavoro.

La sentenza (del Tar Sardegna) 599 dell’11 luglio 2014

Tutte queste lotte hanno alla portato a una prima vittoria, che riveste grande importanza giuridica, politica e sociale non solo per il Comitato e per Narbolia, ma per tutte le lotte e i Comitati sparsi per la Sardegna e l’Italia. Dopo più di sette mesi di gestazione, il Tar Sardegna con sentenza 599 dell’11 luglio 2014, in cinquantadue pagine spiega in modo chiaro, articolato e motivato perché le procedure e i progetti relativi all’impianto di serre fotovoltaiche in Comune di Narbolia sono inequivocabilmente illegittimi. E’ una vittoria che dimostra come la costanza, la determinazione, la preparazione e la collaborazione possano premiare gli sforzi anche di umili cittadini e associazioni di diversissime sensibilità nelle loro lotte contro poteri ritenuti invincibili.

Nella conferenza stampa, tenutasi nei locali della sezione Avis di Oristano venerdì 18 luglio 2014, il Comitato e le associazioni aderenti (Adiconsum Sardegna, Italia Nostra Sardegna e Wwf Sardegna) hanno illustrato la sentenza, i suoi aspetti giuridici e le sue motivazioni, ma hanno anche espresso i loro pareri sulle conseguenze e le opportunità che essa può offrire.

Sono stati ripercorsi brevemente i momenti cruciali di questa storia evidenziando i numeri, le molteplici criticità dei progetti e delle procedure adottate, i molteplici esposti presentati e le varie posizioni, spesso anche scorrette nei comportamenti, tenute dal Comune di Narbolia e dall’Assessorato regionale all’Agricoltura i quali, più che agire per il bene comune, della collettività, hanno agito per interessi di pochi, potenti e privati.

E stato evidenziato come la sentenza dimostri inequivocabilmente che le procedure utilizzate, sia dal Comune che dalla Regione, e i progetti approvati siano completamente illegittimi e che l’impianto, in quanto abusivo, dovrà essere obbligatoriamente smantellato. Le motivazioni della sentenza inoltre evidenziano anche l’importanza del problema ambientale che è stato sottovalutato, se non addirittura ignorato, dagli enti preposti ai controlli.

Il Comitato ha ringraziato tutti coloro che hanno sostenuto questa causa, soffermandosi poi sull’importanza della sentenza per le moltissime vertenze in atto contro la costruzione maldestra e prepotente di impianti di energia rinnovabile, sulla maggior forza che essa può dare alla richiesta di moratoria sulle autorizzazioni e costruzione di tali impianti recentemente presentata dai Comitati Sardi InRete e dal Coordinamento Sardo «Non Bruciamoci il Futuro» al presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, nella richiesta di salvaguardia dei terreni agricoli e nell’incentivazione del comparto agricolo sardo.

E’ stato evidenziato come questa vittoria dimostri, una volta di più, che anche comuni cittadini, spesso etichettati come visionari, possono lottare contro i poteri forti e possono ottenere risultati positivi …. possono vincere. Conferma come qualsiasi cittadino o associazione coinvolta dagli effetti di progetti così invasivi sono legittimati a resistere in giudizio. La sentenza acquista grande importanza dal punto di vista giuridico anche perché ha evidenziato in modo molto circostanziato e motivato l’obbligo e l’importanza, in base alle convenzioni internazionali e in particolare la Convenzione di Aarhus, del coinvolgimento, profondo e cosciente, non superficiale e formale, della popolazione nel prendere decisioni così importanti per il suo futuro.

Il Comitato ha poi dichiarato che ora la sentenza sarà posta all’attenzione del Comune di Narbolia, che dovrà prendere decisioni conseguenti, e del Gse, che gestisce gli incentivi statali per le energie rinnovabili resistendo di fronte al Tar Lazio contro la Enervitabio avendola cancellata dal registro nazionale degli incentivi e delle Procure di Oristano e di Cagliari che sono state interessate da diversi esposti e che stanno indagando sulla vicenda.

Non secondario è il fatto che il Comune e la Regione sono stati condannati al pagamento delle spese per un totale di 8.000 euro, di cui 5.000 a carico del Comune e 3.000 a carico della Regione; 6.000 dovranno essere dati ai ricorrenti e 2.000 a Italia Nostra.

Il punto però su cui si sono maggiormente soffermati il Comitato e le associazioni aderenti riguarda gli sviluppi positivi che questa sentenza può offrire. Il Comune infatti si troverebbe in questo momento obbligato a chiedere lo smantellamento dell’impianto che si configura a tutti gli effetti come abusivo. Nel caso in cui lo smantellamento non avvenisse, cosa molto probabile (a causa degli ingenti costi, che prevedono anche il ripristino dei terreni danneggiati) il Comune potrebbe requisire l’impianto e acquisirlo al suo patrimonio. A questo punto lo scenario sarebbe molto variegato. Ecco alcuni degli spunti proposti.

  1. Cedere ad agricoltori narboliesi e del circondario che ne facessero richiesta parte delle serre, liberate dai pannelli sui tetti;

  2. Utilizzare i pannelli smontati per montarli sui tetti degli edifici pubblici comunali e cedere l’eventuale sovrappiù alle imprese narboliesi;

  3. Utilizzare una parte della corrente prodotta per soddisfare le esigenze di tutto il paese (l’impianto è in grado di produrre corrente per circa 14.000 famiglie e le famiglie di Narbolia sono 600, quelle dell’Unione dei Comuni del Sinis-Montiferru sono circa 6.000);

  4. Offrire alle imprese che si stabiliscono, investono e assumono nel territorio di Narbolia la gratuità dell’energia loro necessaria per un certo numero di anni, creando così altre opportunità di lavoro, non solo per Narbolia;

  5. Utilizzare gli incassi della corrente venduta e la vendita delle serre non utili, per il ripristino dei terreni agricoli danneggiati.

Il Comitato ha concluso la conferenza stampa quindi in modo propositivo, confidando che l’amministrazione comunale e la popolazione di Narbolia sappiano approfittare della situazione per riprendere in mano la possibilità di decidere del proprio territorio e del proprio futuro per il bene di tutti.

I Comitati Sardi InRete

Nel portare avanti queste lotte il Comitato S’Arrieddu per Narbolia ha contribuito attivamente anche alla nascita dei Comitati Sardi InRete.

La storia recente della Sardegna ci restituisce un territorio costellato di progetti calati dall’alto e dall’esterno, progetti i cui benefici restano alle lobbies economico-finanziarie che li propongono lasciando alla collettività i danni ambientali, sociali ed economici, con relativi costi, da essi causati e lasciando dietro di sé un substrato sociale ed economico incapace di provvedere autonomamente alle proprie necessità. Questa storia ci restituisce comunità sfilacciate, un paesaggio ferito, un territorio privato delle competenze e delle popolazioni che ne garantiscano la tenuta e l’assetto, colpito da altissimi livelli di disoccupazione, povertà, disagio sociale, spopolamento, abbandono delle campagne, dissesto idrogeologico, sottrazione di estensioni vastissime di territorio destinati a usi militari e industriali, con annesso inquinamento che si ripercuote sulla salute pubblica.

È in un quadro così delineato – che senza la complicità della classe politica e amministrativa e a comportamenti complici della società sarda non si sarebbe mai potuto comporre – che nasce l’esigenza da parte delle popolazioni di reagire, resistere e ricostruire. L’obbiettivo che ha spinto diversi comitati spontanei e associazioni provenienti da ogni parte della Sardegna a mettersi InRete è quello di unire le voci, le competenze e la passione per difendere il rispetto per le comunità, i loro diritti, le loro esigenze e la loro progettazione del territorio, nella consapevolezza che il bene collettivo è un valore superiore all’interesse individuale. Solo in questo modo sarà possibile spezzare il senso d’impotenza su cui marciano gli speculatori e riprendere in mano il proprio destino, proponendo un modello di organizzazione sociale che si basi sulle reali esigenze delle popolazioni locali e impegnandosi a ricostruire un senso di comunità e appartenenza che possa immaginare un futuro e resistere a un uso del territorio che emargina chi lo abita, costringendolo a vivere da straniero in casa propria o ad emigrare.

Redazione
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