Una scommessa impossibile nel Nicaragua di Rosario
L’incredibile storia dell’ospedale di Emergency mai costruito
di Bái Qiú’ēn
Usted no es ná, / no es chicha ni limoná. / Se lo pasa manoseando, / caramba zamba, su dignidad (Víctor Jara).
Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa… Rosario!
«Il Nicaragua è un paese che nel passato è stato tormentato dalla guerra civile e che ora vive in uno stato di estrema povertà. E dove le cure mediche sono a pagamento. Dalla nostra esperienza nelle zone di guerra abbiamo imparato che le vittime della guerra non sono solo quelle che giungono in ospedale con ferite e armi da fuoco e quelle che sono saltate su una mina. Anche le donne e i bambini subiscono gli effetti dei conflitti, la loro sopravvivenza è condizionata. Anche loro sono vittime di guerra».
Gino Strada non ha bisogno di presentazioni. Con le parole che abbiamo riportato, nel settembre del 2008 informava sul progetto per realizzare un centro ostetrico e neonatale a Santiago de los Caballeros de León, di qualità sanitaria elevata e totalmente gratuito: stile Emergency. In grado di poter eseguire ogni anno duemila parti e ottocento interventi chirurgici.
Nell’unico ospedale esistente, l’HEODRA (Hospital Escuela Oscar Danilo Rosales Argüello), all’epoca nascevano tra i quindici e i venti bambini al giorno: tra normali e cesarei, i parti si aggiravano sui seimila, dei quali trecento ad alto rischio. La clinica di Emergency avrebbe probabilmente ridotto di un terzo queste cifre.
Il condizionale è d’obbligo e vale la pena ricordare questo episodio ormai lontano nel tempo e dimenticato dai più, che a taluni potrebbe sembrare insignificante, ma che è indicativo di ciò che si stava delineando per il futuro del Nicaragua socialista cristiano y solidario. Un futuro che ha visto, alla fine di marzo, la espulsione dal Paese senza fornire alcuna motivazione ufficiale, del rappresentante della Croce Rossa Internazionale, Thomas Ess.
L’idea di realizzare una struttura sanitaria di alto livello era nata nel 2006, quando il presidente della Repubblica era Churruco Bolaños e l’accordo tra Emergency e il Ministerio de Salud (MINSA) era stato sottoscritto il 30 ottobre dello stesso anno, giusto una settimana prima delle elezioni. Realizzato nella area dismessa del vecchio ospedale San Vicente de Paul, con i suoi quaranta letti dedicati alla salute delle donne e dei neonati, l’apertura era prevista nel 2009. Avrebbe dato lavoro a circa 250 persone, tra medici, infermieri, tecnici, specialisti ecc.
Inoltre, la ventina di italiani previsti come operatori nella struttura avrebbe formato e aggiornato professionalmente il personale sanitario nicaraguense.
Il tutto, senza che lo Stato dovesse sborsare un solo centesimo. Nel bilancio di Emergency al 31 dicembre 2006, oltre alle cifre economiche, si legge: «Il ministero della Sanità nicaraguense ha identificato l’area nella quale far sorgere la struttura all’interno del sito del vecchio ospedale cittadino, il San Vincente. Ai sopralluoghi preliminari è seguita la conclusione dell’accordo con le autorità e il perfezionamento delle necessarie registrazioni dell’associazione nel Paese. La predisposizione del progetto esecutivo dell’ospedale è prevista entro il 2007, così come l’avvio dei primi lavori di costruzione».
Però, in base all’accordo, solo dopo dieci anni di gestione clinica e tecnico-amministrativa da parte di Emergency la intera struttura sarebbe passata in proprietà e sotto la responsabilità delle autorità sanitarie nicaraguensi.
Nel periodo 2000-2009 nel Paese erano avvenuti ben 1.141 decessi di donne, dei quali 996 legati alla gravidanza, al parto e al puerperio. La maggior parte di quelli ostetrici (58,5%) si era verificata in donne di età compresa tra i 20 e i 34 anni e il 22,4% tra i 35 e i 54 anni; mentre il 17,5% nelle adolescenti tra i 15 e i 19 anni (dati del MINSA).
«In Nicaragua, l’Organizzazione mondiale della Sanità stima una mortalità per cause legate alla gravidanza o al parto pari a 155 morti ogni 100mila nati vivi. Una delle cause principali del fenomeno è la giovanissima età delle madri: secondo l’Oms, quasi il 28% delle gravidanze riguarda ragazze sotto i 15 anni. Il progetto esecutivo è ormai pronto per la richiesta dell’autorizzazione alla costruzione» (Emergency n. 48, settembre 2008).
Fin dal 2002 Emergency operava in Nicaragua, per quanto in modo indiretto, con alcune Casas de las mujeres, fornendo trattamenti gratuiti soprattutto per problemi ostetrici, ginecologici, diabetici e oncologici. Poi, nacque la idea della clinica a León e si raccolsero donazioni per circa cinque milioni di euro.
«Quando si discute di una nuova proposta, di un progetto da realizzare, c’è sempre chi elenca i potenziali rischi, chi si addentra nella disanima delle difficoltà, chi sviscera i problemi prima ancora che si materializzino», scrive Gino Strada in Una persona alla volta. Queste sue parole valevano e valgono senza dubbio per tutti gli ospedali realizzati in zona di guerra, tipo Kigali, Khartoum o Kabul. E probabilmente pure a Kiev… Ma, per il Nicaragua, dopo le elezioni del novembre 2006 con la vittoria di Daniel (38,07%) e il suo insediamento nel gennaio del 2007 erano cambiati sia il ministro della Sanità sia i relativi funzionari. Per cui si dovette ricominciare tutto daccapo: borrón y cuenta nueva. Nell’aprile del 2008 si era già realizzato lo scavo del terreno e iniziato a gettare le fondamenta dell’edificio, con una spesa di circa 300mila dollari. Ma, nonostante sedici anni di pace nel Paese, Emergency aveva fatto i conti senza l’oste. Anzi, senza l’ostessa.
Con costanti e sempre nuovi cavilli edilizi di natura pseudo-tecnica, che comportavano un costo crescente per la costruzione dell’edificio, sempre nuovi progetti e un continuo rallentamento dell’opera, in realtà si voleva che la struttura fosse da subito nelle mani del MINSA. Richiesta proveniente direttamente dal maniero di El Carmen, ma mai esplicitata a chiare lettere. Però, bastava che i cortigiani richiedessero e imponessero con il contagocce continue variazioni: un muro o una scala da spostare, una nuova finestra da aprire o una porta da non realizzare, il controsoffitto troppo alto o troppo basso ecc. ecc. Il pantano burocratico che regna sovrano nel Paese, utilizzato come leva dal potere politico, aveva contribuito alla abnorme dilatazione dei tempi e dei costi.
Noi italiani siamo da sempre abituati a un livello stratosferico di pedanteria formalistica, che la cosiddetta Legge Bassanini ha solo minimamente frenato. Però, in un Paese dove i meccanismi burocratici sono ancora quelli che furono impiantati dai sovietici negli anni Ottanta e vengono applicati alla latino-americana, chiunque può comprendere cosa possa significare. Non a caso, gli avvocati-notai prosperano più dei girini in uno stagno paludoso, arricchendosi con l’espletamento di dette pratiche: sono oltre trentamila registrati presso la Corte suprema di giustizia (il 3% della popolazione). In compenso, i medici non superano i seimila, tra generici e specialisti (l’1% della popolazione).
Poiché Emergency non ha l’abitudine di entrare nelle questioni politiche dei Paesi nei quali opera, non ha mai parlato della ragione di fondo occultata dietro i suddetti cavilli tecnici e burocratici: senza alcuna flessibilità e ancor meno intelligenza politica, si utilizzava come una clava preistorica il Manual de habilitación de establecimientos de proveedores de servicios de salud, appena approvato.
Ciò nonostante, a noi pare evidente che la Signora degli anelli che abita nel fortilizio di El Carmen volesse appuntarsi sul petto una medaglia che non le spettava, figurando come committente di una opera semplicemente realizzata dalla “impresa edile” Emergency. Saremo corti di mente, ma un’altra spiegazione non riusciamo a trovarla.
Nel frattempo, per ottenere l’appoggio della Chiesa locale al nuovo Governo e con una interpretazione stravolta dell’originario «Entre religión y revolución no hay contradicción», nel luglio del 2008 la Asamblea Nacional a maggioranza danielista aveva approvato il nuovo Codice penale, il quale prevede pene detentive per le donne e le ragazze che cercano di abortire e per gli operatori sanitari che forniscono servizi associati o associabili alla interruzione della gravidanza. Non solo: le nuove disposizioni di legge introducono sanzioni penali per i medici e per il personale infermieristico che fornisce le opportune cure a donne o a ragazze ammalate di cancro o di malaria, che abbiano contratto il virus dell’HIV o soffrano una crisi cardiaca, qualora i medicinali utilizzati risultino controindicati in gravidanza e possano potenzialmente causare danni o la morte dell’embrione o del feto.
Risulta evidente a chiunque il netto contrasto tra la impossibilità di curare una paziente incinta per le patologie che presenta e il giuramento di Ippocrate, che ogni medico pronuncia in qualsiasi parte del globo terracqueo: «Consapevole della importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: […] di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto della autonomia della persona».
Con il nuovo Codice penale, non solo la persona (il malato) non è autonomo nelle proprie scelte, ma neppure il medico lo è.
Uno dei tantissimi appartenenti alla cosiddetta «sinistra confusa», che ci risulta essere assai più numerosa di quella «fedele nei secoli» (non si sa bene a cosa o a chi), all’epoca commentò: «Il Partito Conservatore governava il Nicaragua quando, un giorno del 1837, alle donne fu riconosciuto il diritto di abortire se la loro vita era in pericolo. Centosettanta anni dopo, in quello stesso Paese, i legislatori che si dichiaravano rivoluzionari sandinisti proibirono l’aborto in ogni circostanza, condannando così quelle povere donne al carcere o al cimitero». Questo confuso si chiamava Eduardo Galeano.
Parecchio tempo prima di lui, un paio di ben più famosi super-confusi avevano scritto che «il socialismo pretesco si accompagna a quello feudalistico». Costoro si chiamavano Karl Marx e Friedrich Engels (Il manifesto dei comunisti, 1848).
Non sappiamo cosa Gino Strada pensasse di quella scelta scellerata e medievale, ma il morale della storia è che nel febbraio del 2009 Emergency decise di non andare avanti con il progetto.
Il precedente 11 gennaio 2009, la allora presidentessa di Emergency Teresa Sarti inviò una lettera al ministro della Sanità Guillermo Gonzáles, esponendo con estrema chiarezza che, pur nel rispetto delle leggi in vigore nel Paese, la condizione essenziale per la realizzazione della struttura era la totale autonomia tecnica, clinica e amministrativa. Accettata senza discutere dal precedente Governo neoliberista di Bolaños, non certo un santo.
Il coordinatore di Emergency in Nicaragua, Fabrizio Fasano, il successivo 16 febbraio 2009 dichiarò a El Nuevo Diario: «Il tempo è passato e la situazione si è complicata. Se i problemi aumentano, si deve scegliere se proseguire il progetto o cancellarlo. In questo caso abbiamo deciso di chiuderlo». Probabilmente ci sono meno problemi a operare in zona di guerra, sotto le bombe, i colpi dei bazooka e le pallottole al tungsteno degli AK-47, che con una spada di Damocle sulla testa come quella di non poter fornire le cure adeguate a una ragazza partoriente, per timore di finire in galera se si utilizza il medicinale “sbagliato”.
Nel trimestrale n. 50 di Emergency del marzo 2009 si legge: «Abbiamo ritenuto doveroso chiarire al ministero nicaraguense della Sanità che “Emergency non è, per sua natura, idonea a trasformarsi in puro strumento di attuazione di scelte e decisioni che altri soggetti, peraltro con indiscutibile legittimità, assumono”. Abbiamo inoltre precisato che “chiediamo e otteniamo finanziamenti per attività che si svolgano sotto nostra responsabilità. Li chiediamo a sostenitori che manifestano verso Emergency una fiducia che noi non possiamo trasferire e subordinare ad altri”».
Per completezza della informazione, il giorno successivo alla decisione di sospendere il progetto, dal suo superprotetto maniero Sua Maestà Imperatrice Rosario Murillo emise un comunicato ufficiale con il quale accettava la piena autonomia di Emergency per quanto riguardava la costruzione, le attrezzature e la gestione decennale della clinica materno-infantile: «desidera che si mantengano tutte e ciascuna delle caratteristiche del progetto, poiché è nostra responsabilità che il popolo del Nicaragua e in particolare quello di León possa ricevere i benefici dei servizi che avevano predisposto di realizzare». Dopo aver tirato la corda, fino a spezzarla, ci si rendeva conto del danno al retorico Pueblo Presidente.
In questi casi, i nicaraguensi usano di solito la definizione carepalo (cara de palo), faccia di bronzo. Noi preferiamo tradurre Víctor Jara: «Non sei nulla, / non sei né carne né pesce. / Avanza a tentoni, / oplà, la tua dignità».
L’articolo della rivista di Emergency sopra riportato e titolato con sole due parole che dicono tutto («Ostruzionismo ostinato») si conclude con la amara constatazione: «Ci ritroviamo a chiudere – prima che avesse avvio, in verità – un’azione che era parsa necessaria e praticabile. Il rammarico di Emergency per la decisione non avrebbe nessuna importanza, se questa scelta inevitabile non comportasse ben altre sofferenze che la nostra».
All’epoca, sempre entro certi limiti, era ancora possibile esprimere critiche e qualcuno scrisse che con la chiusura di questo progetto «perdiamo tutti».
Purtroppo, non era un caso limite, bensì un sintomo palese del mutamento del clima, in costante peggioramento nel corso degli anni successivi. Grazie a una visione poco lungimirante e forse già delirante, El Pueblo Presidente era stato privato di una struttura indispensabile.
Sia come sia, dieci anni dopo, nel giugno del 2019, fu annunciata la realizzazione di un nuovo ospedale a León, il più grande del Paese e destinato a sostituire il vecchio e ormai fatiscente HEODRA, costruito negli anni Sessanta dalla impresa Cardenal Lacayo & Fiallos e all’epoca denominato «Hospital Luis Somoza Debayle», con duecento posti letto. Su una superficie di diecimila metri quadrati, l’edificio di quattro piani può ospitare circa duecento pazienti. Fu inaugurato nel 1967 e la “madrina” fu Hope Portocarrero, moglie di Tachito Somoza Debayle. All’inizio del terzo millennio si valutò che circa il 75% della struttura era deteriorata.
Il luogo del nuovo ospedale, che copre a livello sanitario 23 municipi per un totale di 830mila abitanti, è quello in cui sorgeva l’antico Ospedale San Vicente, sulla carretera che collega León a Chinandega, chiuso e accorpato al HEODRA nei primi anni Ottanta. Lo stesso sito in cui doveva essere realizzata la struttura di Emergency, che attualmente sarebbe gestita dal MINSA. Era prevista la realizzazione di 461 posti letto rispetto agli attuali 325, su una superficie di oltre 35mila metri quadrati, con un costo presunto di 90,5 milioni di dollari (chiavi in mano), grazie alla cooperazione di vari Paesi e a prestiti internazionali. Come quello stratosferico concesso dal Banco Interamericano de Desarrollo (BID) nell’ottobre del 2014 per 85 milioni di dollari.
Sette anni dopo l’insediamento di Daniel alla presidenza e cinque anni dopo la “fuga” di Emergency, la situazione era se non al collasso, poco ci mancava. Tanto che nell’agosto dello stesso 2014 la Caritas diocesana di León donò al HEODRA otto letti e tre sedie a rotelle. Monsignor Jaime Granera dichiarò: «Vogliamo contribuire in questo modo al benessere del nostro popolo, affinché si riprenda non solo nella salute spirituale, ma anche in quella materiale. Conosciamo le difficoltà che esistono negli ospedali in relazione ai letti per malati, quindi con grande gioia vogliamo contribuire con questo piccolo contributo, affinché i nostri fratelli abbiano una pronta guarigione».
L’allora direttore dell’ospedale, Ricardo Cuadra, convenevoli obbligatori a parte, ringraziò per la solidarietà fattiva: «È un grande aiuto, poiché migliora le condizioni e il comfort dei pazienti che vengono in ospedale. Per casualità, abbiamo bisogno di sedie a rotelle e di letti, che sono sempre necessari per la domanda della popolazione».
Forse con i quaranta letti, il personale sanitario e le attrezzature biomedicali di Emergency, la situazione sarebbe stata un po’ meno precaria…
Non conosciamo l’esatto valore economico di quella donazione effettuata dalla Caritas, ma sospettiamo che non superasse il costo di uno solo dei tanti alberi metallici seminati a Managua e altrove. Ma nelle sale del castello di El Carmen, di certo, si pensava che per il benessere della popolazione era più importante l’estetica che la salute. Anche l’occhio vuole la sua parte…
La data prevista per l’inizio dei lavori del nuovo HEODRA era il settembre del 2015, poi rinviata al settembre del 2017, senza alcuna spiegazione (il prestito del BID era arrivato da tempo). Non sapendo che altro fare quel giorno, la allora ministra della Salute Sonia Castro pose la prima pietra il 28 febbraio precedente. Però, essendo una pietra fittizia, restò l’unica collocata con tanto di sventolamento di bandiere e alcuni affermano che nei due anni successivi morì di solitudine.
È probabile che la sospensione fosse dovuta al fatto che l’appalto per la costruzione fu vinto nel gennaio del 2017 dalla spagnola Isolux Corsán, la quale era in “sofferenza” dal 2015 e nel 2016 aveva un debito finanziario di oltre due miliardi di euro nei confronti di vari creditori. La notizia del probabile e imminente default era nota persino ai gatti randagi. Guarda caso, il successivo 12 luglio 2017 ne fu dichiarato il fallimento.
È necessario aggiungere che l’opera di costruzione del nuovo HEODRA fu assegnata a questa impresa nonostante fossero ben note pure i numerosi processi e le svariate condanne per corruzione in vari Paesi anche dell’America latina: Brasile, Cile, Messico ecc. Chissà, forse a nostra insaputa a El Carmen è stata coniata la variazione del vecchio slogan della Rivoluzione Popolare Sandinista sopra citato: «Entre construcción y corrupción no hay contradicción». Ma tant’è…
Finalmente, la prima pietra effettiva fu posta il 19 giugno 2019 dalla stessa ministra alla quale probabilmente piacevano le repliche e la conclusione dei lavori era stata fissata per la fine del 2020. Un altro anno e mezzo per realizzare un ospedale che era ritenuto necessario e urgente almeno dal 2004. Ma, come dice il detto, no necesita prisa para ir despacio. Del resto, come in tutta l’America latina, pure in Nicaragua mañana non significa «domani», bensì «non oggi». Stando alle informazioni ufficiali, l’8 novembre di quello stesso 2019 la nuova impresa costruttrice spagnola Makiber (Gruppo Vinci) aveva già realizzato il 44% dell’opera, per cui in teoria i tempi previsti potevano essere rispettati. Però, sette mesi dopo il termine previsto, il 29 giugno 2021 si era raggiunto solo il 67% e, stando al dato più recente, il 18 gennaio 2022 l’82%. Si prevede pertanto che sia concluso alla fine di questo 2022, due anni oltre il termine previsto e con un costo di 106 milioni di dollari: sedici in più rispetto al preventivo.
Nel frattempo, stando sempre alle dichiarazioni ufficiali del MINSA, i posti letto previsti sono scesi a trecento o poco più, invece dei 461 iniziali. Un terzo in meno: un taglio sostanziale che non necessita di commenti.
Per quanto Gino Strada fosse convinto che non esistano scommesse impossibili, se nel lontano 2009 Emergency avesse deciso di restare, nonostante tutte le lungaggini e gli impedimenti, forse sarebbe ancora all’ennesimo mutamento progettuale delle mattonelle del pavimento, da quadrate a rettangolari o viceversa. Al quale sarebbe inevitabilmente seguito il problema fondamentale del loro colore: il bianco, come in qualsiasi ospedale, o l’ossessionante rosa chicha (fucsia) voluto da Rosario in qualsiasi edificio pubblico.
Per la cronaca, informiamo i lettori più curiosi che la parte esterna già terminata del nuovo HEODRA, per coerenza, è tinteggiata in color rosachichario.
Frequentando assiduamente il Nicaragua, spesso e volentieri ci capita di riflettere su un pensiero del ministro dell’Istruzione della Italia unita Francesco de Sanctis: «La palude non era solo nel territorio, era nel cervello». Solo bonificando il secondo, si può sperare di risanare il primo. La definizione di «palude» si potrebbe leggere più modernamente «sottosviluppo», termine coniato verso il 1960 e del tutto ignoto centocinquanta anni fa.
Non a caso, nel suo ultimo libro (postumo) Gino Strada ha annotato pessimisticamente: «A volte, è più facile aprire un ospedale a Kabul». Lo sconsolato riferimento è alla nostra ancora paludosa Calabria. Ci pare, però, che si adatti assai bene pure al sempre più melmoso Regno di Rosario.