Un’alta marea di asfalto

Con il Passante, Bologna avanguardia dell’ingiustizia climatica.

di Wu Ming 2 (*)

«Ogni albero ha il suo nemico, pochi hanno un avvocato.»
J.R.R. Tolkien

Nei primi mesi di quest’anno, Bologna e l’Emilia-Romagna sono state spesso sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, per via del duello tra il presidente della Regione Stefano Bonaccini e la vicepresidente Elly Schlein. In gioco, la carica di segretario del Partito Democratico. Molto inchiostro s’è versato per rimarcare le differenze tra i due, e la vittoria della candidata più giovane ha rinfocolato le speranze in una svolta ambientalista del PD.

Come abbiamo già scritto altre volte, si tratta di una fiducia mal riposta.

L’Emilia-Romagna e il suo capoluogo sono terra di industrie e di interessi economici che marciano compatti in direzione opposta rispetto alla tutela degli ecosistemi, alla riduzione del riscaldamento globale, al tentativo di fermare lo stravolgimento del clima.
Si va dalla Motor valley di Lamborghini, Ferrari, Maserati e Ducati alla Packaging valley degli imballaggi di plastica (centinaia di aziende tra Bologna e Reggio Emilia), fino alle innumerevoli death valley degli allevamenti concentrazionari di polli, vacche e maiali.

Il PIL della Regione dipende dagli hub della logistica che divorano suolo da Piacenza a Rimini, dalle cooperative di muratori trasformate in enormi finanziarie del cemento, dalla grande distribuzione di Coop Adriatica, dall’agritortura intensiva del piano padano, dal turismo insostenibile della Riviera e da quello energivoro dello sci d’Appennino.

La classe dirigente emiliano-romagnola viene selezionata per difendere quest’economia. Possono cambiare le retoriche, possono colorarsi di verde le parole, ma non si vedono eccezioni alla regola, comprese le nuove leve, i pesci piccoli, i «civici» coalizzati con la maggioranza, gli antagonisti convertiti al leporismo.

1. Due aggressioni emblematiche

Oggi Bologna è una città all’avanguardia dell’ingiustizia climatica, in particolare con due progetti che non esitiamo a definire criminali: l’allargamento dell’A14/Tangenziale – meglio noto come «il Passante» – e l’incubo ventennale del «più grande comprensorio sciistico del Mediterraneo». Entrambi, al netto di qualche frase o gesto senza conseguenze, procedono nel loro cammino con il benestare delle forze politiche che governano la Regione, la Città Metropolitana e il Comune.

Abbiamo scritto molto intorno a queste due opere, fin dai loro primi vagiti. Non solo perché colpiscono il territorio in cui viviamo, ma anche per la loro carica simbolica: in tutt’Italia è difficile trovare due esempi più spudorati della protervia del capitalismo fossile.

«Largo alle automobili!», gridano i fautori del Passante di Bologna, sostenendo la necessità di espandere fino a diciotto corsie un arco d’asfalto che passa tra caseggiati e campi di granturco, parchi e centri sportivi, scuole dell’infanzia e terreni selvatici.

«Largo allo sci senza neve!», strillano i paladini della nuova seggiovia sul Corno alle Scale, tacendo il fatto che quell’impianto è il primo passo di un’aggressione in stile Godzilla al crinale appenninico tra l’Abetone e il Reno, dove si trovano due parchi regionali e cinque siti della rete Natura 2000.

Due slogan che riecheggiano in tutta la Penisola, ma che a Bologna acquistano un tono più sinistro. L’A14/Tangenziale è un autostrada cittadina, a dieci minuti di bicicletta dalle Due Torri, accanto alle case di migliaia di persone. Se si accetta l’idea che la si possa allargare ancora, dove mai riusciremo a contrastare il culto del trasporto privato, dell’inquinamento, delle malattie cardiovascolari, degli alberi abbattuti, del consumo di terra, delle emissioni che alterano il clima?

Le piste da sci dell’Abetone, della Doganaccia e del Corno alle Scale, che si vorrebbero aggregare in un unico comprensorio, costruendo almeno tre nuovi impianti a fune, si trovano tutte sotto i 2000 metri d’altezza. Nonostante la neve artificiale e i contributi pubblici sopravvivono a fatica, riuscendo a malapena a rendere sciabile quel che già c’è. Se accettiamo che s’investano milioni di euro per ampliare queste stazioni fallimentari, come possiamo fermare la monocultura dello sci da discesa in altri territori?

Non a caso, il 22 ottobre scorso, Bologna ha visto convergere sulla Tangenziale almeno ventimila paia di gambe, arrivate da tutt’Italia, insieme al collettivo di fabbrica della GKN. Una manifestazione che nel progetto del Passante ha riconosciuto il simbolo di un mondo rovesciato, dove il profitto di pochi è più importante della salute di tutti gli esseri viventi.

Non a caso, il 23 febbraio, a Porretta Terme, sotto il Corno alle Scale, si sono riuniti comitati e associazioni di Marche, Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna per un’assemblea dal titolo: «In montagna non nevica più ma piovono soldi e impianti: a vantaggio di chi?»
Purtroppo, da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare.

2. Reti arancione, comincia l’invasione

I primi cantieri del Passante, quelli «propedeutici», hanno srotolato le reti arancione nel solito clima di informazione parziale, di menzogne e di negligenza.
I quotidiani locali, ricalcando i comunicati stampa del Comune, hanno annunciato l’inizio dei lavori per il campo base in un’area «utilizzata d’estate come parcheggio».
Solo che il terreno in questione non veniva usato in quel modo da svariati anni, ed era diventato un prato di dieci ettari, con arbusti fitti, giovani pioppi, noci e robinie, all’interno di una più vasta distesa verde di oltre ventinove ettari di superficie.

Per dare un termine di paragone, uno dei parchi urbani più grandi della città, i giardini Margherita, si estende per ventisei ettari. O ancora: ventinove ettari misura il bosco urbano dei Prati di Caprara Est, strappato con le unghie a chi lo voleva cementificare mentre adesso si fa bello per averlo tutelato.
Ed è un bosco urbano anche quello che cresce lungo il torrente Savena abbandonato e attraverso il quale passeranno i mezzi diretti al campo base (almeno stando alle mappe del progetto definitivo, perché quello esecutivo è ancora in fase di sviluppo).
Un’altra fascia di alberi, lunga trecento metri, sorgeva tra il cantiere e la tangenziale, ma li hanno estirpati uno a uno, in poche ore, come peli superflui da un sopracciglio.

 

Tutto questo senza remore né proteste, perché a differenza dei giardini Margherita e dei Prati di Caprara, il bosco di via Zambeccari si trova in estrema periferia, oltre il distretto fieristico, in una zona della città dove il paesaggio rinselvatichito non ha valore in sé, non fa vincere premi o menzioni speciali, e si può valorizzare solo distruggendolo.

Domanda 1: sradicare alberi in questo modo il 21 marzo non è contrario alle regole che vietano le potature nel periodo di nidificazione degli uccelli?
Domanda 2: sradicare alberi in questo modo, accanto alla Tangenziale su cui passano automobili e camion, non è pericoloso?

Dopo l’annuncio coram populo del cantiere primigenio, a metà febbraio ne sono spuntati altri, all’insaputa di chi ci vive accanto. Giusto il tempo di appendere i cartelli del «Lotto 0» e di dare un nome criptico ai lavori («interventi per lo spostamento dei sottoservizi»), ed ecco partire il coro delle motoseghe. Questa volta però gli spazi recintati e i grandi alberi abbattuti si trovavano all’interno di parchi e giardini, dove giocano bimbi e bimbe, la gente passeggia, i cani scorrazzano. L’ufficio segnalazioni del quartiere San Vitale ha ricevuto decine di richieste di chiarimento. Quanti tronchi sono stati tagliati?
Che genere di lavori verranno eseguiti? Quanto dureranno? Nessuna risposta, alla faccia del «piano di comunicazione costante per informare efficacemente le comunità locali», ovvero una delle dodici migliorie che hanno convinto gli ex-oppositori di Coalizione Civica ad appoggiare l’opera.

3. Arboricidio (la somma non fa il totale)

Di fronte alle critiche, il Comune ha chiesto ad Autostrade di accelerare i tempi delle piantumazioni, quasi che gli alberi fossero una voce di bilancio. Ne tolgo 2936 già cresciuti, annuncio che pianterò 34 mila virgulti (dove? quando?) et voilà, il saldo è positivo.

L’assessore regionale alle infrastrutture Andrea Corsini si è affrettato a ribadire che verrà creato «un bosco di 130 ettari». La superficie, in realtà, è la somma (arrotondata) delle opere a verde previste dal progetto.
In queste «opere a verde» rientra il rinnovo di arredi (panchine, staccionate, ecc.) in dodici ettari di parchi. Il che è una buona cosa, ma è scorretto conteggiare quella superficie come “bosco”. E la manutenzione dei giardini pubblici è un compito dell’amministrazione, senza bisogno di allargare un’autostrada.

Ci sono poi 46 ettari di fasce arbustive o arboreo-arbustive. Si tratta per lo più di piante che verranno messe a dimora sulle scarpate dell’autostrada. Singoli filari di pruni, melograni, aceri e ciavardelli, alternati a rosa canina, viburno, sambuco, corniolo.
Oppure, sempre sulle scarpate, cinque ranghi di arbusti misti.
Nulla che possa somigliare, nemmeno in futuro, a un bosco.
***

A questi si aggiungono 29 ettari di nuovi parchi pubblici, che saranno certamente alberati, ma questo non li trasforma in boschi. Inoltre, se a San Donnino diventerà parco un campo coltivato di undici ettari, uno dei pochissimi che ancora esistono nell’area urbana a sud della Tangenziale, in cosa consiste il risultato positivo? Per quale motivo “il verde” cittadino dev’essere omologato e ridotto a una sola tipologia, ovvero quella del giardino ben curato?

Stesso discorso in zona Birra: cinque ettari di terreno incolto saranno per cinque anni un cantiere, dopodiché verranno trasformati in parco, ma lasciandoli in pace sarebbero già uno spazio verde, fruibile, dotato di piste e sentieri.

Le fasce arboree (33 ettari) e la forestazione di parchi esistenti (19 ettari) sono gli unici due interventi che possano vagamente ricordare un bosco. Farnie, pioppi, olmi, tigli, frassini, aceri. Dieci file di piante ad alto fusto distanziate di due metri per tre. Sulla scelta delle specie, c’è già chi solleva grossi dubbi. Quanti decenni impiega una quercia a diventare adulta?

In ogni caso, più della metà di questi “boschi” rimpiazzerà i boschi ripariali del fiume Reno e del torrente Savena distrutti dall’opera (30 ettari).

L’intervento di “forestazione” riguarda invece il Parco Nord, uno spazio mal messo, terra da eventi e feste dell’Unità, che verrà sistemato e riempito di fronde. Bellissima idea, nata fuori dal progetto di Autostrade, ma poi vincolata al Passante, per usarla come ricatto, insieme a piste ciclabili e sottopassi rigenerati. «Se volete una cosa, vi tocca prendere anche l’altra», è il ritornello che si sente ripetere. E così un’opera da due miliardi di euro, profondamente ingiusta, malsana e retriva, vuole colonizzare le periferie di Bologna in cambio di una manciata di perline verdi.

(Continua)

(*) Tratto da Giap.

alexik

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