Universi o multiverso?

di Vittorio Catani (ripreso da http://miglieruolo.wordpress.com/)

“Universi paralleli”: ipotetici universi “adiacenti” al nostro, o magari compenetrati con il nostro ma in altre dimensioni, in cui potrebbero valere leggi fisiche sconosciute. È fantascienza? Oggi sì, o al più è una teoria ritenuta finora indimostrabile. Ma forse, presto non sarà più così.

E’ in progetto un esperimento di fisica che potrebbe dimostrare come l’“uni-verso” non sia affatto “uno”, e anzi ne esistano infiniti: si parlerebbe quindi di “multiverso”, del quale noi saremmo una frazione infinitesima. Concetti grandiosi, e tuttavia l’esperimento in programma appare, in proporzione, d’una semplicità sconcertante.

Fondamentale, in merito, l’assunto che la materia possa muoversi anche al di là dei nostri confini: stando agli studiosi, ciò sarebbe possibile attivando grandi energie. Ne dà notizia, in rete, il sito della Cornell University Library.

Promotori della sperimentazione sono Michael Sarrazin, Guillaume Pignol, Fabrice Petit e Valery V. Nesvizhevsky, dell’Università di Namur (Belgio). Si tratta di “catturare” un gruppo di neutroni ultrafreddi e, tramite l’uso di adeguati campi magnetici, costringerli in uno spazio chiuso: una “bottiglia magnetica” (in queste condizioni il moto delle particelle rallenta ed è più facile osservarle). L’esperimento richiede un anno di tempo e si basa sul controllo della velocità di “decadimento” (cioè scomparsa) dei neutroni “imbottigliati”. Tale velocità verrebbe accelerata da variazioni del potenziale gravitazionale della Terra, causate dal mutare della nostra distanza dal Sole nel moto di rivoluzione del pianeta. Ebbene: una scomparsa di neutroni anormalmente rapida segnalerebbe il “salto” di quelle particelle altrove, ovvero in un altro universo. Si stima, peraltro, che il fenomeno potrebbe verificarsi in un caso su un milione. Ma se l’esito fosse positivo, secondo Sarrazin e il suo team gli universi paralleli diverrebbero realtà. E quindi – aggiungiamo noi – chissà se un giorno anche l’uomo potrà compiere il “salto”.

Ma come è nata l’idea degli universi paralleli, e come è stata accolta dalla scienza, sia pure relegandola finora nell’ambito delle teorie più fantasiose? In realtà l’idea, sebbene in altre forme, esiste “da sempre” (come accenniamo più in appresso). Quanto alla scienza, possiamo individuare una data: il 1957, nonché tre fisici: Hugh Everett, Bryce S. De Witt, Neil Graham. In un loro testo essi proponevano per la prima volta una “interpretazione a più mondi” della meccanica quantistica. Si trattava di una vera e propria teoria degli universi paralleli, presentata come una radicale conseguenza del principio di indeterminazione di Heisenberg.  Senza scendere in complicatissimi dettagli: il nostro universo andrebbe concepito come qualcosa che si sta da sempre suddividendo in un numero indefinito di ramificazioni. Ogni transizione quantistica che avviene su una qualsiasi stella, in qualsiasi galassia, in ogni momento (anche in ogni istante, qui e ora) scinde il nostro mondo in miriadi di copie di se stesso. Copie non identiche ma diverse, sia pure per un unico minimo dettaglio. Chiaro che ipotesi del genere possono sollevare molti interrogativi, scatenare molta fantasia, o causare incredulità. Tanto più che l’“interpretazione a più mondi” si è ritenuta magari teoria affascinante ma del tutto indimostrabile… finora.

A ben vedere, è dai primi anni del secolo scorso che la fisica naviga, specie agli occhi dei non addetti ai lavori, in acque evanescenti, con proposte di ragionamenti controintuitivi, quando addirittura non slitta in una sorta di misticismo laico che sembra andare al di là della scienza. La relatività einsteiniana afferma un rallentamento del tempo crescente con l’aumentare della velocità di un oggetto: un astronauta che viaggiasse per un mese (tempo di bordo) a velocità altissime o prossime a quelle della luce, al suo ritorno troverebbe la Terra “invecchiata” di migliaia di anni. Un vero viaggio nel tempo, ma senza ritorno. La luce è un fascio di microparticelle, i fotoni. Oppure è un’onda (come le onde sonore)? La risposta della fisica quantistica è: la luce è entrambe le cose, dipende dalle circostanze. Secondo la teoria delle stringhe, nata negli anni ’70, materia, energia, spazio, tempo, sono in realtà la manifestazione di entità fisiche primordiali che, a seconda del numero di dimensioni in cui si sviluppano (fino a 42), vengono chiamate “stringhe” oppure “p-brane”. Questa teoria, che muove da alcune intuizioni del fisico italiano Gabriele Veneziano (fine anni ’60), sanerebbe alcune discordanze dell’attuale fisica e ha avuto una vastissima accoglienza, sebbene resti tuttora indimostrata. Esperimenti in progetto con l’LHC – l’acceleratore di particelle di Ginevra – potrebbero, sia pure per via indiretta, confermarne alcuni assunti.

Si potrebbe proseguire con ulteriori esempi: la teoria degli universi paralleli, si direbbe, non appare più strana di altre. Attendiamo fiduciosi il responso dei neutroni… imbottigliati.

Sul concetto di “universi paralleli”

L’idea di universi “paralleli”, o comunque coesistenti ma invisibili, da noi più o meno raggiungibili, è presente in forma piuttosto vaga già nelle religioni e nelle leggende: per esempio il mondo delle divinità nordiche e quello dei folletti (Asgard e Faerie). Più tardi, l’occultismo parlerà di “piano astrale”. La fantascienza farà suo il tema negli anni ’40 del secolo scorso, con alcune storie di autori statunitensi. Fra costoro ricordiamo almeno due autori e due romanzi, editi in Italia negli anni ‘50: Murray Leinster con Bivi nel tempo (Sidewise in time, 1953) e Fredric Brown con Assurdo universo (What mad universe, 1949).

Unitamente ai viaggi interplanetari e ai viaggi nel tempo, il tema resta uno dei più affascinanti e frequentati dell’intera science fiction. Lo si ritrova in una serie sterminata di varianti. Vi sono universi in cui vigono leggi fisiche differenti dalle nostre. Altri in cui le leggi sono le stesse, ma non esiste la specie umana. Quelli in cui da un certo momento in poi la nostra Storia si biforca, per esempio racconti dove l’ultima guerra è stata vinta dalla Germania: questo tema ha dato spazio a un vero e proprio filone a sé della fantascienza, rammentiamo solo La svastica sul Sole di Philip K. Dick (The man in the high castle, 1962). La grande ruota del «se» di Sprague De Camp (1940) descriveva una America contemporanea colonizzata dai Vichinghi nel X secolo. Altre storie narrano di una vittoria dei Sudisti nella Guerra di secessione, come accade in Anniversario fatale di Ward Moore (Bring the jubilee, 1953). In James e Jim di V. Thalimon (1978) il protagonista incontra in un altro universo se stesso, ma più avanti negli anni, e avvia con l’“altro” un rapporto di conoscenza umana del tutto sconvolgente. Alcuni romanzi di Michael Moorcock presentano universi infiniti differenti tra loro, e la gente vaga dall’uno all’altro ripetendo il ciclo delle proprie esistenze (concetto ispirato alla religione indiana). Per alcuni autori, fra cui ancora Philip K. Dick – per esempio in Scrutare nel buio (A scanner darkly, 1977) – si accede ad altri mondi tramite nuove droghe o farmaci: le possibilità alternative nascono dall’alterazione dei nostri sensi. Cade così, simbolicamente, la distinzione tra mondi reali e mondi immaginari.

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