Urania manda in edicola «Distopia»
La recensione (o un canto d’amore? forse un racconto?) di Diego Rossi
Emanuele è un uomo invisibile. Non è Professore, Giornalista, Imprenditore, Politico, etc… A volte lo chiamano «omino». Termine sgarbato, diminutivo seducente nel suono, ma irriverente e poco dignitoso nella sostanza; spesso ostentato dai figli di papà per identificare un servizio più che una personalità. Esistono così nel dizionario della strada «omini del latte» (dei computer o delle pulizie) e anche «omini dell’edicola» come Emanuele.
Gli occhi di Emanuele stamattina riflettono l’azzurro del cielo d’estate, ha la mascherina da chirurgo usa e getta un po’ abbassata, allacciata sul mento e curvata sotto le narici. Lo fanno in tanti per respirare, soprattutto la mattina presto, quando non c’è quasi nessuno in giro. Il piccolo alimentari della piazza deve ancora aprire, le edicole sono sempre le prime. Non te ne accorgevi quasi di Emanuele e delle edicole, prima. Emanuele è sempre stato lì, quando tutto il resto era chiuso, e quando tanti scrittori italiani, sicuramente tra i migliori, stavano terminando le loro storie. Emanuele legge un pizzico d’ansia nel mio sguardo, sa che ci tengo. Annuisce, non lo vedo, ma so che sta sorridendo. «Hanno cambiato i distributori, e sono arrivati un po’ in ritardo» si scusa. Apre le scatole grigie, fruga qua e là, alla fine mi passa il Millemondi Urania tutto italiano.
Mi sento di nuovo ragazzino, quando disegnavo scarabocchi e tenevo l’Urania bianco e sottile infilato nei libri di scuola, per leggere ogni tanto un passaggio, per sognare un mondo lontano nell’ora di chimica. Perché scrivo tutto questo? Perché per me Urania vuol dire edicola. Perché appena ho aperto questa antologia ho ricevuto un’ondata di entusiasmo. Finalmente! Un’antologia curata e davvero amata. Come quelle dei bei tempi.
Il tema: La scelta di Franco Forte cade sulla Distopia, rivela fin dalle prime battute un collegamento tra il COVID-19 e la selezione di racconti proposti. Un coraggioso editoriale, di cui ecco un passaggio significativo: «È vero che, nel momento in cui scrivo, stiamo vivendo tutti in uno scenario da fantascienza catastrofica, con le conseguenze dell’epidemia da coronavirus che sta devastando le nostre certezze e ci sta spingendo tutti sull’orlo della paura, però questo non ha influito più di tanto sulla voglia degli autori di spingersi oltre per raccontare mondi e futuri distopici che forse, pur essendo del tutto inventati, ci sono più vicini e meno stranianti di quanto raccontano i telegiornali ogni giorno…».
Gli autori: In ordine alfabetico: ARESI, BARBERA, CAVALLERO, COLA, DEBENEDETTI, DE MATTEO, DE SANTI, EVANGELISTI, MORTILLARO, OLIVO, STOCCO, VALLORANI, VISCUSI. Sono tredici nomi notevoli, tutti introdotti in modo coinvolgente da Franco Forte che ne delinea stili, propone aneddoti, inquadra il ritmo della storia e le emozioni che ha provato leggendo. Un velo di romanticismo, una sorpresa lasciata ai lettori, perché si ha l’occasione di un passaggio dietro le quinte di una vita passata producendo fantascienza.
I racconti: Rappresentano il laboratorio della Sci-Fi nostrana. Il Millemondi estivo parla italiano per la seconda volta. Segue quello del luglio 2019, recensito in bottega qui: “https://www.labottegadelbarbieri.org/inferno-purgatorio-e-paradiso-dunque-urania/” e in tal senso prosegue un percorso di sperimentazione. Penso sia suggestivo il confronto di tanti scrittori-scrittrici sul terreno della Distopia, alcune soluzioni sono davvero troppo sconvolgenti per i miei gusti, altre meravigliosi esempi della bellezza di scrivere. Penso che ogni lettore possa trovare i suoi preferiti, a me pare che cinque o sei storie spicchino sulle altre. Ma la cosa più importante è che le soluzioni adottate sono il riflesso degli stili degli autori, rimandano alla loro produzione maggiore, ai romanzi che rendono giustizia allo scrivere italiano.
Carmine Treanni chiude in modo magistrale con la sua postfazione l’antologia. Il suo saggio «Mappe della distopia: il fascino del peggiore dei mondi possibili», tratta dei romanzi distopici in un arco temporale che spazia dall’opera L’Utopia di Thomas More del 1516 al romanzo The Testaments di Margaret Atwood del 2019.
È appassionante, inizia così: «Nel racconto Il continuum di Gernsback (The Gernsback Continuum, 1981) di William Gibson, un fotografo viene incaricato di realizzare un servizio in immagini sull’architettura Art Decò degli anni Venti e Trenta in America. Alla fine della storia…” con un breve scambio di battute con un edicolante si ha la corretta sintesi del concetto di Distopia. Allora, avendo trovato il riferimento, e tornando proprio alle edicole, ecco il memorabile passaggio: «Quel pomeriggio vidi un’ala volante sopra Castro Street, ma aveva un aspetto diafano, come se ci fosse solo per metà. Corsi all’edicola più vicina e presi tutto quello che riuscii a trovare sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare.
Avevo appena deciso di comprare un biglietto aereo per New York.
— In che razza di mondo viviamo, eh? — l’edicolante era un nero magro, con i denti cariati e un parrucchino quasi ostentato. Io annuii, frugandomi nelle tasche dei jeans alla ricerca dei soldi, ansioso di trovare una panchina in un parco per immergermi nella prova lampante della quasi-distopia in cui vivevamo. — Ma potrebbe essere peggio, eh?
— Già — dissi io. — O peggio ancora, potrebbe essere perfetto.
Lui mi guardò mentre mi allontanavo stringendo sottobraccio il mio fagottino di catastrofi».