Uruguay: ballottaggio presidenziale con il Frente Amplio favorito…
… ma il colore di Tabaré Vázquez è un rosa stinto
di David Lifodi
Il prossimo 30 novembre gli uruguayani torneranno alle urne per scegliere al ballottaggio il futuro presidente del paese: da un lato Tabaré Vázquez, candidato del Frente Amplio, che al primo turno aveva raggiunto il 46% dei consensi, dall’altra Luis Lacalle Pou, astro nascente dei conservatori, fermatosi al 32% e leader del Partido Nacional.
A meno di sorprese clamorose, il frenteamplista Tabaré Vázquez dovrebbe farcela. Alla vigilia del primo turno, svoltosi il 26 ottobre, erano in molti a pronosticare il ballottaggio, ma nessuno si aspettava che Vázquez si presentasse con un vantaggio così ampio: l’ex presidente del paese veniva accreditato intorno al 41%, anche per i molti mal di pancia espressi all’interno del Frente al momento della sua investitura come candidato. Se è vero che era stato proprio Tabaré Vázquez a riportare il centrosinistra alla presidenza del paese, interrompendo così l’alternanza tra blancos e colorados che aveva permesso ai conservatori di guidare ininterrottamente l’Uruguay addirittura dal 1830, in molti, sia all’interno sia alla sinistra del partito, sostenevano che il Frente si era ormai venduto alle multinazionali. In occasione delle primarie, che pure hanno incoronato Tabaré Vázquez come candidato alla presidenza con il 92% dei consensi, le perplessità non sono mancate, soprattutto tra i giovani, che non si sentivano rappresentati da dinosaurios come l’ex medico settantanovenne. La senatrice Constanza Moreira, che aveva sfidato Tabaré Vázquez alle primarie senza alcun appoggio da parte dei vertici del partito, sosteneva che, almeno al primo turno, non tutti gli elettori frenteamplistas si sarebbero presentati alle urne, proprio per mostrare tutta la loro delusione. Per questo motivo, considerate le premesse e la disillusione di una parte dell’elettorato, il 46% rappresenta un buon viatico per raggiungere la presidenza: per il Frente si tratterebbe del quarto successo di file poiché, alla prima presidenza di Tabaré si è susseguito il doppio mandato di Pepe Mujica. Il primo turno è stato incentrato anche sulla sfida anagrafica tra i due contendenti. All’anziano Tabaré si contrapponeva infatti Luis Lacalle Pou, quarantunenne, figlio di Luis Lacalle Herrera , già alla guida del paese dal 1990 al 1995 e che nel 2009 aveva sfidato Mujica per la presidenza rimediando però una sonora sconfitta. Nonostante Lacalle Pou abbia condotto una campagna elettorale volutamente deideologizzata e sotto certi aspetti qualunquista, molto simile a quella del venezuelano Capriles e della brasiliana Marina Silva (secondo la nuova strategia, per ora fallimentare, che pare intenzionata a seguire la destra latinoamericana), l’armamentario politico-ideologico è quello di sempre: farsi portavoce degli interessi del capitale e lavorare per una rapida uscita del paese dall’asse integrazionista latinoamericano. Inoltre, al ballottaggio Lacalle Pou potrà contare sull’appoggio del colorado Pedro Bordaberry, che al primo turno non è andato oltre il 13% dei consensi. Per Pedro Bordaberry, figlio del dittatore Juan Maria Bordaberry, che fece sparire gli oppositori di sinistra e condusse l’Uruguay a far parte del poco invadibile novero dei paesi aderenti al Plan Condor, lo scorso 26 ottobre non è arrivata solo una cocente sconfitta elettorale. Gli uruguayani, oltre ad eleggere il presidente del paese, erano chiamati anche ad esprimersi sulla riduzione, da 18 a 16 anni, dell’imputabilità penale, un progetto su cui punta molto anche la destra argentina, ma il 48% degli elettori ha votato per il “no”, bocciando di fatto uno dei principali cavalli di battaglia di Bordaberry, quello della sicurezza, su cui aveva investito anche Lacalle Pou. È stato probabilmente per questi motivi che gli elettori di centrosinistra hanno scelto di confermare il proprio voto al Frente Amplio, anche perché, nonostante la candidatura di Tabaré Vázquez abbia rappresentato, per il Frente, un deciso spostamento verso il centro, il paese ha compiuto passi avanti in molti settori. Proprio sotto Vázquez fu dato impulso al Piano Ceibal, che permetteva ad ogni bambino in età scolare di avere un portatile nell’ambito di una campagna volta a facilitare l’accesso alle nuove tecnologie. E ancora, con l’ex tupamaro Pepe Mujica alla presidenza, è stato raggiunto il traguardo delle otto ore per i lavoratori rurali, sono scesi gli indici di povertà e varate delle leggi di tutela per le lavoratrici domestiche, lo sviluppo delle infrastrutture (soprattutto quelle ferroviarie) è stato notevole ed è cresciuta anche l’economia solidale. Inoltre, il piccolo paese sudamericano è balzato agli onori delle cronache per la legalizzazione della marijuana, la depenalizzazione dell’aborto e il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso: a tutto ciò Tabaré Vázquez e la destra del Frente Amplio si sono sempre opposti, come non ha potuto fare a meno di notare la sua antagonista alle primarie Constanza Moreira, impegnata proprio sulle tematiche di genere e della diversità sessuale. La destra frenteamplista riuscì a imporre il ticket Mujica-Astori in occasione della precedente campagna presidenziale, dopo che lo stesso Danilo Astori era già stato ministro dell’Economia nel corso della presidenza di Tabaré Vázquez, ma adesso non basta che sia candidato come vice presidente Raúl Sendic, figlio del guerrigliero che aveva fondato il Movimiento para la Liberación Nacional – Tupamaros, per dare una parvenza di sinistra alla dirigenza del Frente Amplio. In molti hanno notato che con Vázquez è tornata sulla scena quella corrente frenteamplista sconfitta da Pepe Mujica nel congresso del 2008 e ben lontana dalle origini e dagli ideali su cui si era fondato il partito negli anni ’70, a partire dal suo legame con i movimenti studenteschi e popolari e le lotte operaie, ben riassunte dallo slogan lucha, lucha, lucha, non dejes de luchar, por un gobierno obrero, obrero y popular. Molto probabilmente, l’idea di Vázquez, una volta conquistata la presidenza, è quella di prendere ad esempio l’ex Concertación cilena, adesso Nueva Mayoría, guidata dalla presidenta Michelle Bachelet, che però governa all’insegna delle politiche neoliberiste. A questo proposito, è interessante l’osservazione di Gonzalo Abella, leader del piccolo partito di sinistra Unidad Popular, il quale evidenzia come tra le varie critiche rivolte dal Partido Nacional al Frente Amplio non ci sia alcun accenno alla politica economica, come dire: non c’è alcuna differenza nell’impostazioneeconomica dei partiti. A questo proposito, evidenzia con sarcasmo Abella, il Frente Amplio, per quanto possa sembrare paradossale, offre agli Stati Uniti e al neoliberismo garanzie quasi maggiori della destra tradizionale, a partire dalla pace sociale di cui si fa tramite anche attraverso i sindacati. Di certo c’è che l’Uruguay rappresenta un altro scenario della contesa regionale in cui gli Stati Uniti e le forze reazionarie interne ed esterne al paese cercheranno, tramite il loro uomo Lacalle Pou, di spostare il paese verso l’Alleanza del Pacifico, il libero scambio e quell’Accordo Transpacifico (Tpp) a cui l’ambasciatrice statunitense Julyssa Reynoso ha cercato di convertire, fin dal primo turno elettorale, i tre candidati alla presidenza.
In attesa del vincitore del ballottaggio, non è detto che solo blancos e colorados sarebbero felici della ratifica di un trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. E come si comporterà Vázquez di fronte al Tpp? In gioco non c’è solo la presidenza dell’Uruguay, ma due distinte idee di sviluppo del paese. Mujica era riuscito a difendere la sovranità territoriale del paese: chissà se anche Tabaré Vázquezs sarà disposto a farlo o se invece finirà per essere inconsapevolmente il cavallo di Troia del libero commercio?