«Uteri senza frontiere» e la rinascita dei fondamentalismi

Usa, Irlanda, Polonia, Argentina, Spagna… contro la libertà delle donne

di Ilaria Santoemma (*)

All’indomani della presa di posizione del governo americano in materia di aborto – già ampiamente annunciata – crediamo sia ancora più urgente un affondo sul tema diritti riproduttivi e autodeterminazione. Ancora una volta, sono i corpi femminili a pagare l’ennesima forma di assedio: i corpi sui quali opera una normatività profonda, una direzione autoritaria e non libera delle scelte.

Uno dei primi atti successivi all’insediamento del governo di Donald Trump è consistito nella firma di un ordine esecutivo anti-aborto. Nello specifico, la reintroduzione di tutti quei provvedimenti di repubblicana memoria (introdotti da Reagan nell’84) che ricadono sotto il Global Gag Rule. (http://www.genderhealth.org/files/uploads/change/publications/GGR_Fact_Sheet_Jan_2017_1.pdf😉

Un provvedimento teso al taglio dei fondi federali degli Stati Uniti destinati alle ONG che si occupano di salute e diritti riproduttivi. (http://www.ippf.org/news/why-we-will-not-sign-global-gag-rule;). La reintroduzione di questo provvedimento in maniera programmatica e anche più estesa, comporterà il taglio di fondi stanziati dal governo americano per alcune cliniche e organizzazioni non profit che si occupano di diritti riproduttivi, quindi l’impossibilità di dare accesso (lì dove la legge lo consente) a pratiche abortive sicure.

Il taglio ai fondi comporterà anche una riduzione di altri servizi in materia di salute riproduttiva e prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili che queste stesse organizzazioni offrono. Non è necessario che l’aborto sia concretamente un servizio offerto dalle ONG prese di mira, il discrimine unico è che l’interruzione di gravidanza figuri nei programmi di educazione sessuale e informazione.

Il messaggio pare chiaro: calpestando il diritto all’autodeterminazione sui temi di salute riproduttiva si agisce in maniera anche più aggressiva rispetto al passato perpetrando una forma d’assedio programmata e mirata ai corpi delle donne, in merito ai quali il neoeletto presidente ha già manifestato volontà punitive e “disciplinanti”. Non solo; alle scelte libere su temi salute e riproduzione, si sostituirà ovviamente, secondo alcune previsioni effettuate da associazioni per il diritto all’aborto, un aumento esponenziale di casi di aborto clandestino, il proliferare di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze inattese (qui le prime stime: https://www.theguardian.com/commentisfree/2017/jan/24/trump-once-said-women-should-be-punished-for-abortion-t;).

Questo ordine esecutivo non è un caso isolato, ma è leggibile entro un più ampio contesto di restrizioni che negli Stati Uniti ha comportato non poche ricadute per la salute delle donne e per la libera scelta riproduttiva. Solo nel 2016 sono state emanate 50 restrizioni al diritto d’aborto, «un’escalation ininterrotta dal 2000 e che ha subito un’accelerazione negli ultimi sei anni. Il Guttmacher Institute ha calcolato che oltre la metà della popolazione femminile statunitense in età riproduttiva vive in stati che sono ostili o estremamente ostili al diritto d’aborto» (V. Greco; per approfondimenti si veda http://www.internazionale.it/opinione/valentina-greco/2015/05/21/italia-diritto-aborto;). Certo è, che questo primo atto di insediamento, tanto sul piano simbolico tanto su quello materiale è emblematico. La prima firma di Trump, il primo provvedimento con cui si insedia alla casa bianca è un atto violento contro la libertà di noi tutte. Le foto diffuse dai media immortalano sette uomini che deliberano sui nostri corpi: una semantica politica che annuncia fin da subito che la strenua reazione e le pesanti restrizioni non tardano a venire. Un primo atto quindi che ha in sé già tutto quel portato conservatore, autoritario, disciplinante che è quello che speriamo di colpire quest’otto marzo, con la potenza delle migliaia di donne che riempiranno le strade di tutto il mondo.

Anche dalla Polonia, dall’Irlanda, dalla Spagna, da molti paesi dell’America Latina si sono levate forti le voci di chi difende il proprio diritto all’autodeterminazione e si batte per le libertà di scelta, alla luce delle attuali regolamentazioni che da una parte all’altra del mondo assumono caratteri sempre più “punitivi”. Occorre quindi provare a leggere i recenti fatti nell’ottica delle lotte transnazionali per i diritti (non) riproduttivi, sulla scia di quanto iniziato a fare dall’Ass. Orlando e dalla Favolosa Coalizione con Uteri senza frontiere.

Questa riflessione sorge in seguito alla realizzazione del Dossier per l’iniziativa tenutasi il 16/17 dicembre presso il Centro delle donne. In un certo senso vuole essere un’introduzione molto generale ai temi che le attiviste (Spagna, Argentina, Polonia e Irlanda) hanno affrontato in maniera più approfondita e dettagliata sull’aborto, riportando direttamente le esperienze di lotta del paese da cui provengono.

Nel Dossier, realizzato con l’aiuto di tante attiviste e socie Orlando, sono stati messi a confronto materiali, leggi e articoli critici sulla questione dell’aborto in Irlanda, Polonia, Argentina e Spagna. Questo lavoro ha dato la possibilità di uno sguardo di ampio respiro e ha restituito un quadro generale, alla luce del quale è possibile interpretare con una lente comune quello che accade oggi, dal micro livello del singolo paese e del singolo caso normato, fino a un livello macropolitico. Tuttavia, è chiaro che i processi che hanno portato alla limitazione delle pratiche abortive e contraccettive sono da interpretarsi anche alla luce del contesto storico-geografico-politico di ogni singolo paese.

Innanzitutto risalta come le proposte di legge sull’aborto di Spagna, Polonia e il vigente ottavo emendamento in Irlanda seguano un comune filo del discorso reazionario e filocattolico; le proposte non a caso sono quasi identiche e si appellano tutte al diritto alla vita del non nato. Questa impostazione di pensiero si riflette formalmente nella giurisprudenza attraverso una limitazione dell’aborto a pochi gravi casi, quali: stupro, incesto, malattie gravi del feto o, come nel caso dell’ottavo emendamento irlandese, a quasi nessun caso. Il nucleo comune dei vari provvedimenti, a un’analisi anche solo approssimativa, risalta immediatamente: dietro alla norma vi è un impianto ideologico ben definito che determina ovviamente un’oppressione di genere. Potremmo meglio dire che tale orizzonte di pensiero performa in tutti i casi l’assoggettamento di uno dei generi sull’altro e attraverso l’istituzione esercita una imposizione di misure restrittive e dispositivi di potere che hanno come esito quello di essere criminalizzanti verso un altro genere, verso altri corpi e desideri.

Il punto interessante è che non solo i propositi, ma anche l’inquadramento storico-politico entro cui leggere queste misure pare essere assolutamente comune: un diffuso fenomeno di rinascita del fondamentalismo che fagocita in ogni paese, anche se in maniere diverse, le libertà, le possibilità di autodeterminazione, la costruzione di modelli sociali alternativi che potremmo chiamare “non modelli” o contro modelli. Suggerisco che il neo-fondamentalismo (Cooper, La vita come plusvalore, 2013), fenomeno dirompente a livello transnazionale, è inestricabilmente legato alle forme di egemonia e potere oggi esercitate ed è da leggersi nell’ottica del mantenimento dello status quo da una parte e dell’avanzare programmatico e inarrestabile di un modello economico dall’altra.

Basti pensare al caso emblematico della Spagna dove più volte si è condotta la battaglia del governo per la limitazione dell’aborto (vedi Ley Gallardón) ma proliferano le cliniche/imprese private per la compravendita di ovuli e gestazione per altri. La medicina riproduttiva, quando finalizzata alla “procreazione” pare pienamente inglobata e convogliata in diffusissime strategie di marketing, mentre pare essere sempre più osteggiata quando finalizzata alla scelta non riproduttiva. Un diktat che pare rispondere al modello del: “se produci e ri-produci puoi scegliere, se non sei produttiva verrai osteggiata”.

Rifacendomi al libro di recente pubblicazione Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo (Zappino, a cura di, 2016) mi pare si possa affermare che l’analisi del neoliberismo detiene un posto rilevante nella lettura di questi processi. L’impostazione neoliberale tanto sul piano ideologico, con le sue narrazioni, che su quello sociale, spiana la strada e prepara terreno fertile alla chiusura neofondamentalista, il cui intento è quello di instaurare una stagione di progressiva mutazione individualista come la preparazione anti-democratica e anti partecipativa.

Infatti, il caso dell’Irlanda, il caso Polonia, ma per certi versi anche i casi di Argentina e Spagna, condividono un’unica linea guida che è quella della progressiva chiusura, in taluni casi della regressione verso modelli reazionari e restrittivi. Quello che pare evidente è la volontà di abbracciare una politica di controllo, o meglio ormai di biocontrollo. Attraverso queste proposte di legge si potrebbe dire che la alleanza del neofondamentalismo e del neoliberismo si attui in funzione anti-partecipativa, e che la stessa funzione anti-partecipativa ed escludente manifesti una connivenza di differenti reti di potere e di controllo intrecciate verso un fine comune: a finire con l’essere costrette poi, sono ovviamente le decisioni di molte donne su scelte che riguardano la loro salute, il loro futuro e i loro corpi. La loro autodeterminazione è posta al vaglio e al controllo diretto.

Il caso della Polonia è emblematico della alleanza di queste due forme di “governamentalità”. Con la caduta del regime sovietico e il conseguente smantellamento delle libertà e possibilità di autodeterminazione in materia di aborto, vi è stata l’introduzione delle prime misure restrittive. Nello stesso periodo, a partire dagli anni ’90 in Polonia ha avuto inizio quella virata liberista verso la deregolamentazione del mercato, l’abbassamento drastico del costo del lavoro e tutta una serie di scelte tipiche del neoliberismo. Sembra proprio che un costituirsi di alleanze l’una funzionale all’altra abbia determinato queste possibilità, fino ad arrivare a oggi, cioè al governo ultra conservatore ed euroscettico che è fautore della peggiore proposta di legge sull’aborto finora formulata nel paese.

Succede che in un certo senso questi due alleati, controllo e messa a produzione della vita, hanno trovato il loro punto in comune, un po’ come un loro punto di equilibrio e lo esercitano percorrendo i principali binari attraverso i quali possono esprimersi: le ideologie ultranazionaliste dei nuovi populismi di destra in Europa e la rinascita di un pensiero politico fondamentalista.

Per queste ragioni, in riferimento a una lotta sempre viva, o comunque ormai da tempo viva, come quella per l’aborto e i diritti riproduttivi – che ci piace chiamare non riproduttivi – pare urgente la costruzione di una rete transnazionale di lotte che ci sembra ormai incrocino temi e visioni del mondo prettamente politiche e situate. Una rete che sta già prendendo forma, grazie al movimento plurale e globale #Nonunadimeno che ha portato alla potente manifestazione contro la violenza di genere del 26/11 a Roma e ancora, fino ad oggi in vista dello sciopero dell’8 marzo.

Se la strada intrapresa dalla politica neofondamentalista, con le diverse spinte di chiusura reazionaria in Europa – e non solo – continua in maniera inarrestabile a definirsi, allo stesso tempo ugualmente possono e devono diventare endemiche le forme di organizzazione e resistenza. Ci piace pensare che lo slogan We want roses too è forse un punto comune, una prima dichiarazione di intenti dalla quale partire. Non a caso il suo significato pieno, di rivendicazione ampia, si trova nei punti programmatici delle forme di resistenza e mobilitazione che attraverso il dossier e grazie ai racconti delle attiviste, sono state prese in esame per ogni paese.

  • Contro l’oppressione di sessualità e generi, per l’affermazione di forme di soggettività molteplici e policrome

  • Contro l’austerity: per la definizione di misure di welfare, per la costruzione di una alternativa a quella neoliberista del mercato, per una ridefinizione dei diritti sociali, civili, politici.

  • Affermazione di partecipazione democratica che coinvolga tutte le soggettività, e contro le visioni escludenti in termini di classe e razza, quindi inevitabilmente contro la narrazione dell’individuo e le pratiche divisive del tessuto sociale

Se il cammino intrapreso da buona parte dei governi europei e non solo sembra tendere alla limitazione delle nostre libertà, la nostra resistenza deve (e pare già) essere endemica e transnazionale, per delinearsi e definire i suoi contorni in cammino verso modelli che abbiano in sé qualcosa di eversivo e in piena contraddizione con la visione reazionaria e tradizionalista dei generi e della sessualità.

Di seguito programma completo e dossier “Uteri senza Frontiere”.

Grazie a Valentina Greco, Elisa Manici, Angela Balzano, all’Ass. Orlando e alla Favolosa Coalizione per la collaborazione.   

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(*) Ripreso da «nonunadimeno». Il 16 e 17 dicembre si è tenuta a Bologna «Uteri senza frontiere. Lotte transnazionali per i diritti alla non riproduzione», una due giorni di dibattiti e assemblee organizzati dalla «Favolosa Coalizione» con attiviste femministe e LGBTQ di vari Paesi, «verso lo sciopero delle donne dell’8 marzo».

Redazione ALMA.Blog
Il Collettivo A.L.M.A. è un collettivo multiculturale di scrittura formato da scrittori, giornalisti e attivisti di origin varie e residenti in Italia.

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