Val Susa: montagne e migranti fra repressione e solidarietà
articoli di Christian Elia e dell’Associazione Culturale lat’art – Casa delle culture di Oulx
A Oulx in Val Susa dove finisce la rotta balcanica (*)
di Christian Elia
Tra la neve dell’alta Val di Susa parte l’ultima tappa di un viaggio iniziato miglia di chilometri prima e durato anche anni. Christian Elia ci porta ad Oulx dove le realtà solidali sono l’ultimo avamposto contro la crescente militarizzazione della frontiera.
La neve cade copiosa, avvolgendo Oulx; sembra fermare le attività, la vita stessa, ma non per tutti. Al Rifugio Fraternità Massi, però, a due passi dalla stazione della cittadina, è tutto in movimento. Silvia, che nella vita insegna francese, si muove rapida nel magazzino organizzato perfettamente dove vengono raccolti e organizzati per taglia e tipologia gli abiti e le scarpe che sono state donate. Davanti a lei, in attesa, due ragazzi. Sono tra coloro che arrivano dalla Balkan Route, dopo un viaggio infinito, preparandosi all’ultimo tratto di un progetto migratorio.
“Questo edificio era un istituto dei Salesiani, che si occupava di ragazzi in difficoltà, poi è stata attrezzata per essere un alloggio per i viaggiatori lungo la via Francigena e, dal 2017, è stata attrezzata per ospitare i migranti”, racconta Silvia, senza smettere di occuparsi degli ospiti, rispondendo contemporaneamente al cellulare. “Con un nuovo progetto arriveremo a circa 60 posti letto potenziali, qui le persone ricevono un tetto per la notte, una cena e una colazione, se ci sono problemi di salute li accompagniamo in collaborazione con la Croce Rossa, soprattutto forniamo scarpe e vestiti utili per la montagna, perché vederli arrivare senza abiti adatti non è solo preoccupante, è anche pericoloso.”
Sul tavolo del magazzino degli abiti ci sono dei volantini che vengono distribuiti alle persone che si apprestano a passare la frontiera con la Francia, a piedi. “Per anni si dirigevano verso il Colle della Strada, ma poteva diventare molto pericoloso. Oggi arrivano qui a Oulx e ripartono in bus verso Claviere, per poi proseguire a piedi dal Monginevro verso Briancon”, spiega Silvia. I volantini multilingua spiegano i pericoli della montagna, segnalano i numeri utili, allertano di non fidarsi dei ‘passeur’. “Ad alcuni hanno venduto dei ‘pacchetti’ fin da Torino, poi le persone arrivano qui e scoprono di essere stati presi in giro, perché questo posto accoglie tutti gratuitamente, non c’è nulla da pagare.” Mentre Silvia e altri volontari si occupano di loro, alcuni ragazzi si aggirano tra il dormitorio e il cortile, dove possono fare una doccia calda, sotto la neve, con le ciabatte. Si può solo immaginare, mentre il gelo ti entra nelle ossa, cosa possa significare sfidare la montagna senza abiti adeguati. “Che non ci siano state vittime, in questi anni, è un miracolo”, dice Silvia. Ma i miracoli, in fondo, sono i volontari, dal versante italiano e da quello francese. Sempre connessi, sempre in contatto – una delle deleghe di Silvia nel gruppo dei volontari del Rifugio è proprio il coordinamento – con l’associazione Tous Migrants e i maradeurs, i soccorritori volontari che tentano recuperare i dispersi in montagna, che conta più di 200 persone che solo negli ultimi mesi hanno soccorso 196 persone.
Dal 2017 si calcola che siano state più di 11mila persone a passare il confine italo-francese, per anni da Bardonecchia e Ventimiglia poi, con l’inasprirsi dei controlli, da Oulx e dalle Alpi. Con grandi rischi: facile perdersi, in un luogo sconosciuto, facile finire in ipotermia d’inverno. Come dice Silvia se ad oggi non ci sono state tragedie terribili è grazie alla rete: il rifugio Fraternità Massi, il suo omologo a Briancon, Refuges Solidaires, e la Casa Cantoniera occupata di Oulx. Che oggi è sotto sgombero esecutivo. “Qui tutti fanno la loro parte, ciascuno il suo. Il rifugio è aperto dalle 16 alle 10 del giorno dopo – spiega Silvia – la Casa è stata importante, perché è sempre aperta e per certi versi è meglio per le famiglie, che al mattino non devono ripartire subito. Questa chiusura non ha senso, perché il bisogno non è calato, anzi.
Negli ultimi mesi gli arrivi sono stati tanti, con la novità che adesso Oulx è diventata l’ultima tappa della rotta balcanica, perché da questa estate sono tanti quelli che arrivano dopo essere passati da Trieste, ancor di più da Gorizia ultimamente.”
Anche per questo, Val Susa Oltre Confine, associazione che raggruppa varie anime e varie storie della solidarietà della valle, ha lanciato una petizione online per chiedere di non chiudere la Casa Cantoniera. Sono già più di 11mila le firme raccolte, un successo straordinario, che testimonia come la Casa sia parte – con le sue modalità – della rete solidale transfrontaliera della valle.
A conferma delle parole e delle preoccupazioni di Silvia c’è il report di Medici per i Diritti Umani (MEDU), pubblicato a ottobre 2020, che calcola come tra “settembre 2020 e gennaio 2021 si sia stato il passaggio a Oulx di circa 5mila persone, prevalentemente nuclei familiari con minori e donne anche in stato di gravidanza provenienti dalla rotta Balcanica: dalle 50 alle 100 persone che si sono fermate quotidianamente al rifugio Fraternità Massi e alla casa cantoniera occupata.”
Un numero importante, che nel Rifugio trova una sponda, così come nella Casa Cantoniera, occupata da attivisti italiani e internazionali nel 2018 proprio per rispondere alla logica delle frontiere. Non è un caso che realtà come il Rifugio, legata al mondo del volontariato cattolico e alla fondazione Fondazione Talità onlus, legata alla figura carismatica di don Luigi Chiampo, o come MEDU, una ong medica, si uniscano all’appello contro la chiusura della Casa.
Arrivano Luca e Paolo, due volontari dei vari gruppi attivi in tutto il Piemonte, con la macchina carica di frutta e verdura, e qualche giocattolo. “Andiamo a portare la roba alla Casa Cantoniera”, racconta Luca, che prima della pensione faceva il rappresentante di commercio. “Mi sono offerto di aiutarli a sistemare il tetto, in fondo siamo tutti dalla stessa parte.”
I ragazzi della casa non amano i giornalisti, ma la loro porta è aperta a tutti quelli che non giudicano il loro modo di rendersi utili. Il giardino, di fronte a fiume e alla cornice di monti innevati, è pieno di giochi per bambini. Paolo e Luca, aiutati da tre nuovi arrivi della rete dei volontari, due studenti di Ingegneria e una studentessa di Antropologia di Torino, portano in casa casse di frutta e verdura, cibo e abiti. I ragazzi della casa, aiutati da alcuni ospiti, portano dentro e sistemano sugli scaffali. Si organizza una cena per la sera successiva. “Ognuno aiuta a modo suo”, racconta Luca, “l’importante è dare una mano e tenere connessa una rete che oltre ai volontari si nutre della generosità delle donazioni che sono davvero straordinarie.”
Sembra di camminare un’altra Italia, che si impegna, solidale, umana. La Val di Susa è una delle Italie che si raccontano troppo poco. Intanto al Rifugio si assiste un ragazzo afgano, in evidente difficoltà. Amir tira fuori un foglio, tutto accartocciato. È il referto di dimissioni di un ospedale di Bihàc, in Bosnia-Erzegovina. Amir è stato tre mesi in ospedale, dopo un’operazione al cervello. Luca, un altro volontario, che nella vita lavora alla FIAT, si attiva con gli scout che nel fine settimana vengono a far le pulizie al Rifugio, mentre Silvia contatta conoscenti che possono tradurre il referto per aiutare Amir. Mentre una famiglia afgana racconta quel che gli è capitato a un eurodeputato francese che venuto a raccogliere la loro testimonianza. È capitato che l’autista del bus per Claviere non si sia fermato e abbia tirato dritto fino al posto di polizia francese. Tutti respinti. Con loro viaggiava una donna incinta, di nove mesi. Adesso è all’ospedale di Rivoli, i volontari si aggiornano in tempo reale, il bimbo è nato e sta bene. Vengono i brividi, in mezzo al gelo, a pensare a quella famiglia se avesse tentato di passare a piedi. Ma vengono i brividi anche a immaginare una pattuglia della polizia francese che, di fronte a una famiglia, con due bimbi piccoli e una donna incinta, ha fatto firmare loro dei documenti che non capivano, senza assistenza, per respingerli.
Luca, Silvia e gli altri vogliono capire cosa sia accaduto. “La polizia francese controlla in modo feroce la frontiera, con cani e motoslitte”, racconta Silvia. “I medici di Médicins du Monde sono sempre presenti con i volontari d’oltralpe, nonostante le multe per violazione del coprifuoco. E adesso, con la richiesta di tampone all’ingresso, la Francia respinge ancora di più.”
Non solo migranti, perché spesso sono anche ignari viaggiatori che si trovano fermati, magari nel cuore della notte, al confine. Avevano tutto in regola, ma magari gli mancava un documento e la polizia italiana, dopo il respingimento in frontiera di quella francese, non sa che fare e li porta al Rifugio. “Sono smarriti, non capiscono dove sono e cosa è accaduto”, racconta Silvia, “gli spieghiamo che non sono in arresto e che possono passare la notte qui.”
Un giorno a Oulx sta finendo. Un altro giorno che la rete di solidarietà ha reso meno duro per tante persone che non hanno altra scelta che andare avanti. Piero Gorza, antropologo, tra gli autori del report di MEDU e con una vita professionale tra America Latina e Balcani, la racconta così, la Valle e le vite che la attraversano. “Questa è una valle storicamente di passaggio. Nel ‘700 dicevano che solo un matto poteva attraversarla, era il ‘mal passo’, per i briganti. Il passaggio prevede tanti pericoli, compresa la rapacità sui viaggiatori, come ci raccontano tutte le frontiere. I poveri sono sempre una risorsa, arricchiscono sempre tante persone. Questa valle ha una linea, tra la bassa e l’alta valle. La bassa tra operai e partigiani, si sono passati una memoria, e l’alta, legata alle migrazioni stagionali. Fino al ‘900 in inverno c’era troppa gente, emigravano in Francia, e tornavano, fino agli anni ’30, con il turismo, che negli anni ’50 la ‘manna’, la neve, diventa una monocultura. E un’imprenditorialità e un mercato del lavoro, stagionale, non attenta al territorio e concentrata sul guadagno. E poi i flussi migratori dal Meridione, nell’edilizia del boom immobiliare, poi rumeni, maghrebini, albanesi. E si arriva al 2017, con questa rotta, in particolare sub-sahariani dalla rotta del Mediterraneo centrale, spesso con un periodo già lungo in Italia. Oggi, dalla primavera 2020, arrivano dalla rotta balcanica, ma la storia è sempre quella: per anni, tra due e sei anni, hanno potuto contare solo sui loro piedi, sui loro corpi. Sono famiglie, molto più di prima, alcune si sono allargate abitando il cammino. Non le frontiere, che sono solo segmenti. Il cammino è fatto di nove, dieci frontiere prima di Oulx. Persone che non hanno alcuna intenzione di fermarsi qua, con figli che ormai conoscono più il cammino che la terra d’origine, una costruzione di umanità e di emozioni itinerante, che conoscono un’altra geografia, che non si limita agli stati nazionali. E Oulx, di base, sta a guardare, senza eccessi di rifiuto o di accoglienza. Le persone passano, non si fermano. Portano con loro le relazioni del cammino, con quelle continuano per la loro meta, con la fretta di chi ha impegnato tutto, compresa la rete parentale, per quel cammino.”
Ha smesso di nevicare, è sorto il sole a Oulx. Arrivano i turisti, trascinando i loro trolley pieni di sogni di piste da sci aperte dopo la pandemia. Alla stazione di Oulx, intanto, stringendo al petto una piccola borsa, arriva anche Alì. Racconta di venire da Bamyan, in Afghanistan, dopo un viaggio di due anni, che alla fine lo ha portato a Patrasso, in Grecia, poi a Bari, nascosto in traghetto, e fino a Oulx. Alì guarda le montagne, Alì partirà domani. Abitando il cammino.
(*) ripreso da https://openmigration.org/analisi/a-oulx-in-val-susa-dove-finisce-la-rotta-balcanica/ La foto è di Elena Strada.
Migranti a Oulx, la casa delle culture sostiene i 2 centri di accoglienza (**)
Dall’associazione Culturale lat’art – Casa delle culture di Oulx
«Il cammino della speranza» è un film del 1950 diretto da Pietro Germi su soggetto di Federico Fellini, Pietro Germi, Tullio Pinelli, ispirato al romanzo “Cuori negli abissi” di Nino Di Maria, che narra il travagliato viaggio verso la speranza, attraverso l’alta Valle Susa in Francia, di un gruppo di lavoratori italiani in fuga da un presente senza speranze verso un futuro oltralpe pieno di attese.
Italiani che in questa Odissea vengono, derubati, arrestati, ingannati, turlupinati, derisi, oltraggiati da chi per un becero tornaconto immediato sfrutta la necessita imprescindibile di una sopravvivenza migliore.
Che differenze ci sono tra questi italiani in fuga con lo sguardo triste di una salita ed i nostri parenti che nel secolo scorso hanno avuto solamente la grande fortuna di accedere ad un biglietto di un treno, di una nave e soprattutto di un documento che testimoniasse e certificasse la loro esistenza?
Che differenze ci sono tra questi italiani ed i cittadini del mondo che attraversano parti del mondo per il tramite di setacci sempre più stretti e pericolosi?
Nessuna, assolutamente nessuna, i luoghi, i sentieri sono gli stessi, le montagne sono le stesse, i volti sono gli stessi, se non forse l’ancora più incerta documentazione di un diritto all’esistenza ed un bisogno di un futuro perlomeno normale.
Più volte la nostra associazione culturale ha proiettato questo film che è una testimonianza unica e fondamentale di una Italia che solo il neorealismo documentarista e romantico ha saputo raccontare. Notizia di questi giorni la morte di Cecilia Mangini, ultima amata documentarista di una Italia in movimento e in mutazione.
Più volte questo film è stato proiettato dalla nostra associazione perché narra di un confine che non è mai esistito sulle Alpi, soprattutto nelle nostre valli unite al Brianzonese, saldate dall’Escarton, terminato nella solita follia di una guerra di successione ed un trattato, Utrecht, che all’inizio del 1770 ha ridisegnato un’Europa di regni e non di uomini.
Storici meglio attrezzati di noi hanno raccontato come le montagne non hanno mai diviso al più hanno unito, condiviso un destino comune mai in conflittualità come solamente la necessità di condividere un territorio difficile e stagionalmente ostile permette. Ora questa frontiera si è chiusa nel tempo in cui per una umanità in viaggio questo Cammino della Speranza si è riaperto, iniziato nella attesa di un futuro vivibile, migliore o per lo meno normale.
Sarà nuovamente il caso di proiettare questo film? Forse lo sarebbe, anche perché in questo tempo di pandemonio semaforico, in cui tutti hanno più tempo per pensare, l’umanità in viaggio non ha tempo di aspettare, ma l’inverno sulle Alpi non è un amico fraterno, piuttosto un amico da conoscere per evitarne la pericolosità.
Circa 4.000 persone in un arco di pochi mesi in questo inverno hanno attraversato questa valle e questo spartiacque in silenzio, senza disordini sociali, senza voler disturbare. Hanno bisogni più urgenti che perdere tempo in inutili e pericolose animosità sociali. Eppure in questo fazzoletto di Alpi si respira un’aria ostile, leggera nella sua tagliente pesantezza.
È legittimo essere preoccupati di questa umanità in cammino, sono un pericolo sociale? Famiglie che camminano per anni, con la loro vita appresso, con vite che scompaiono e nuove vite che nascono, illusi, derubati, sfruttati, derisi, evitati esattamente come nel bel film di Germi, del 1950. Eppure 4.000 persone, donne, uomini, bambini, sono transitate, in un
silenzio assordante.
Due strutture ad Oulx si occupano a vario titolo di fornire un aiuto, unite dalla capacità, dalla volontà, di evitare il peggio, evitare che le Alpi in inverno feriscano più del dovuto, del necessario. Ed in effetti è così. Immaginiamo 4.000 persone che senza un aiuto, un ascolto, un vestito adeguato cerchino di valicare un confine allo stesso tempo inutile, pericoloso e severo.
Quanti sarebbero stati i morti, i caduti nell’ennesima guerra dei poveri inutile ed assurda? Per fortuna non è stato così. Per fortuna i casi di cronaca nera si contano su una mano, per altro senza finire tutte le dita. Tuttavia le medaglie hanno almeno due facce. Ed una faccia che si respira, in questo fazzoletto di Alpi, è un pensiero ricorrente, lento e pesante come una goccia che cade. Se non ci fossero questi due centri di aiuto ad Oulx, l’umanità prenderebbe strade diverse e di qui non passerebbe più?
Domanda che merita rispetto, legittima come è legittimo documentarsi prima di rispondere. Ventimiglia non ha più centri di aiuto strutturati. Bardonecchia, non ha più un locale presso la stazione per dare un aiuto a queste persone in cammino. Bene, in assenza di centri di assistenza i flussi si sono ridotti? No, sulla base dei dati che si possono facilmente trovare, i flussi non sono diminuiti, verso il Colle della Scala e neanche a Ventimiglia. Aumenta solo il rischio in questa giostra, in questo gioco di ruolo in cui è troppo facile dire chi è buono e chi cattivo, chi è bianco è chi è nero. Peccato però che questa umanità silenziosa in cammino spesso non sia così evidentemente riconoscibile.
Ecco allora che proiettare nuovamente Il Cammino della Speranza potrebbe ancora essere utile, potrebbe essere ancora utile per una riflessione, per una valutazione. Raf Vallone ed Elena Varzi ci hanno emozionato in questo bianco e nero inteso che ha i contrasti dell’inverno e le sfumature della speranza. Come nel film, questo cammino, questa migrazione di umanità in fuga che attraversa i medesimi luoghi, ha un prezzo. Il prezzo delle vite che svaniscono, il prezzo del mercimonio fetido di chi consiglia, di chi indica una soluzione, di chi dice di avere la soluzione, di chi come il Gatto e La Volpe vuole solo i tuoi soldi in cambio di un aiuto che profuma di inganno.
Un prezzo spesso pagato creando debiti difficilmente esigibili, se non in una vita che deve diventare al più presto reale e non solo una ipotesi lontana nel tempo e nello spazio. Tra questi conti economici, altro sospiro che si leva in questo lembo di Alpi, non occorre dimenticare il costo dell’assistenza.
Nel Comune di Oulx questo costo è facilmente reperibile per una struttura, quella istituzionale inserita un piano di progettualità condivisa, mentre per l’altra struttura le valutazioni si fanno complesse essendo il prodotto di un volontariato che non solo si preoccupa del prossimo ma che occupa un luogo, prossimo al cammino, resuscitato da una annosa inutilità. Come associazione culturale ci permettiamo di suggerire che se i servizi erogati nella loro totalità ed interezza dovessero essere integralmente pagati dalla società o dalle strutture alimentate dalla nostre tasse il costo non sarebbe limitato. Nel bilancio economico allora mettiamo in conto le vite salvate, i disordini sociali evitati e la silenziosità ed invisibilità di un transito, di una migrazione di circa 4.000 persone in pochi mesi di questo inverno semaforico.
Ricordiamolo ancora: 4.000 persone in cammino non sono poche. Il quadro complessivo è molto articolato e non è compito di Casa delle Culture dirimere le problematiche esposte. In questa Odissea di persone, di umanità in difficoltà ci sono già troppe caverne abitate da tanti Polifemo, che non hanno paura di contarsi, come le pecore dei loro greggi.
Tanti sono i Proci, che gioiscono sperando che l’attesa di Penelope sia vana, regalando buoni consigli. Sia concessa una valutazione: in assenza della tante Nausiche che danno una mano, che accompagnano, che regalano un respiro di umanità, questo cammino, questa Odissea silenziosa, ordinata e tutto sommato relativamente sicura, potrebbe non essere più così.
L’Amministrazione di Oulx, le amministrazioni comunali troppo spesso vengono lasciate sole a cercare di capire da che parte arrivi il canto delle Sirene. Ci piace pensare che alla fine il loro canto non sia altro che un aiuto, un auspicio alla riflessione più vera e più intima in ognuno di noi su ciò che sia utile e proficuo in questo cammino di speranza.
Ed allora la nostra associazione vuole con questo prolisso comunicato, dare una mano a chi aiuta, chi assiste questo cammino, auspicando che in Oulx, si continui ad erogare questo servizio di assistenza, articolato, complesso, difficile e faticoso, con le differenze e con le peculiarità che ad oggi lo caratterizzano e che rappresentano una risorsa, una necessità, che altri non avrebbero modo e voglia di garantire.
Sia permessa una ultima riflessione: il termine Cammino è odioso, lega il passo ad una necessità, ad una fede, ad un disegno di altri, ad una speranza. Quando verrà il tempo in cui il passo potrà essere libero e leggero, senza un dovere, un percorso predefinito, una speranza da inseguire?
(**) https://www.valsusaoggi.it/migranti-a-oulx-la-casa-delle-culture-sostiene-i-2-centri-di-accoglienza/