Valsusa: voci dai tribunali

nicoletta-dosioNicoletta e Jacopo (*)

[Chiesti 8 mesi di condanna per Nicoletta Dosio. La sentenza è prevista per il 14 dicembre prossimo. Quella che segue è la dichiarazione di Nicoletta al tribunale di Torino durante il processo per evasione. ]

Grazie a tutte e tutti coloro che dalla Valle e ben oltre sono venuti a darmi sostegno. Grazie a Valentina ed Emanuele per la loro appassionata difesa.
«La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino» (Articolo proposto per la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 e non recepito)
Oggi, in quest’aula, rivendico – accanto al diritto di resistenza contro le grandi male opere ed il modello di vita e di società ad esse connesso – la mia evasione e la mia concreta, consapevole opposizione alle misure cautelari inflittemi, via via aggravate dal tribunale di Torino.
Mio intendimento è di denunciare e di oppormi a tali misure, per me e per tutti coloro che, nel movimento NO TAV e in tante altre realtà di lotta allo stato di cose presente, si vedono quotidianamente comminare, dalle procure e dai tribunali, provvedimenti arbitrari e vendicativi.
Anche in questo il movimento NO TAV ha fatto scuola e le pratiche repressive nei suoi confronti si sono rivelate sperimentazione da applicare puntualmente là dove il partito trasversale degli affari e della guerra sente messo in discussione il proprio dominio.
Le misure cosiddette cautelari sono state e sono usate a piene mani e in modo esplicito, quale arma di repressione per criminalizzare il dissenso e negare la libertà di pensiero e di espressione; un avvertimento che la giustizia non è uguale per tutti.
La loro stessa natura di pene inflitte preventivamente, senza un regolare processo, con ampi margini di discrezionalità, le mette a nudo come strumento di giudizio etico-politico volto a colpire ciò che si è, più che ciò che si fa.
I risultati sono riscontrabili costantemente nella storia dei processi contro i militanti NO TAV: mesi di carcere preventivo e domiciliari che, a seguito di regolare processo, si sono tradotti in condanne di pochi mesi con sospensione condizionale della pena; sentenze che non bastano però a cancellare le umiliazioni, la perdita della libertà, la quotidianità negata, la vita messa in manette.
Per quanto mi riguarda, ho fatto convintamente questa scelta di lotta ed intendo portarla fino in fondo. Dichiaro fin da ora che, qualunque sarà il giudizio di questo tribunale nei miei confronti, continuerò a disobbedire, ad oppormi senza mediazioni, con gioia, sostenuta dall’abbraccio fraterno del popolo NO TAV e di quanti non hanno mandato all’ammasso la ragione, il cuore, la dignità.
Lo farò per dovere e per affetto nei confronti di chi, come Luca e Giuliano, a differenza mia, per lo stesso mio reato, ha subito il carcere.
Lo farò anche per complicità con Jacopo, Eddy e tutti coloro che sono sottoposti ai domiciliari o a qualsiasi altra misura restrittiva.
Come per il gufo di Durer, “il nostro solo crimine è di veder chiaro nella notte”.
Verità perfettamente adattabile al mondo che non si adegua a vivere immobile e sottomesso, in questa notte profonda che cancella diritti, democrazia formale e sostanziale, responsabilità verso il futuro.
Contro il buio mortifero delle casseforti, dei tunnel e delle prigioni noi vediamo chiaro e continuiamo a lottare perché si faccia giorno, sicuri dell’alba che verrà.
Bussoleno, 23 novembre 2016

[Quella che segue è la lettera di Jacopo, No Tav condannato a due anni di carcere dalla corte d’appello del Tribunale di Torino per le giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Jacopo, ricercatore presso la Facoltà di Fisica, è ai domiciliari dal mese di marzo per altro procedimento No Tav.]

Alla fine si è chiuso l’appello del maxi-processo ai No Tav e mi ritrovo con una condanna a due anni a cui si andrà ad aggiungere una somma di denaro più elevata del reddito annuo della maggior parte delle persone che conosco.
C’è chi ha avuto condanne più pesanti, chi meno e chi è stato assolto (a dir la verità pochi).
Hanno detto che andavamo condannati perché non abbiamo mostrato segni di pentimento.
Di conseguenza non si sono neanche impegnati granché a dimostrare quali siano state effettivamente le nostre condotte materiali. I fatti sono stati sostituiti dai fantasmi: l’opposizione ad una decisione dello Stato (presa da chi? Quando? chi è lo Stato?), il pericolo di escalation di violenza a.k.a le FARC in Val Susa (…), la Libera Repubblica della Maddalena, pericolosa perché “territorio sottratto al controllo dello stato”. Il maxi-processo è stato caricato più che altro di valore simbolico e politico: andavamo condannati per intimorire, per dimostrare a tutti che ribellarsi non è consentito – o, almeno, non tanto da rischiare di cambiare effettivamente le cose.
D’altronde, con il TAV, non si parla di bruscolini, ma di miliardi di euro di denaro pubblico da spartirsi: non è un tema su cui vogliono che una popolazione determinata e ben informata possa mettere bocca.

Non mi sono pentito – non ci siamo pentiti – di niente.
Se ripenso alle due grandi giornate messe sotto accusa durante questo processo, se guardo al passato, al presente e al futuro del movimento No Tav non posso che essere orgoglioso di averne condiviso una parte, anche quando diventa più difficile.
Perché è proprio questo che ha dato veramente fastidio ai magistrati, ai politici e tutta la banda loro. Avrebbero voluto insegnarci, con anni di carcere, chi tra di noi è tra i cattivi (e i cattivissimi), chi tra i buoni. Eppure noi ci riconosciamo tra pari in una comunità in lotta, saldando dei legami che sono più forti delle loro condanne.
Avrebbero voluto insegnarci a badare ai fatti nostri, a pensare esclusivamente alla nostra sopravvivenza individuale, a non alzare lo sguardo oltre la fatica quotidiana di sopravvivere tra lavoro e sfighe varie, a rimanere atomi solitari in competizione tra di loro. Perché le decisioni, quelle che influenzano la vita di tutti, le prendono altri, possibilmente senza discussioni.
Eppure abbiamo scoperto che, insieme, possiamo mettere in crisi quei meccanismi del potere che siamo stati abituati a subire nell’impotenza. Abbiamo scoperto la bellezza e la profonda dignità di mettere il nostro tempo, le nostre capacità e, all’occorrenza, la nostra libertà al servizio di qualcosa più grande di noi: qualcosa che va costruito insieme, qualcosa per cui bisogna lottare.

Questa condanna me la porterò con orgoglio e dignità. Ne è valsa la pena.

Lunga vita ai ribelli! Avanti No Tav!

(*)  Tratto da Osservatorio Repressione e No Tav.info.

alexik

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