VenerdIslam: «The idol», da Gaza all’Egitto, il riscatto
di Monica Macchi (*)
«Questo film è sulla gente che riesce a creare bellezza dalla bruttezza,
e cose positive da quelle negative»
Hany Abu Assad
«Mohamed Assaf ha la particolare capacità, tipica dei palestinesi, di sognare in grande»
Nancy Ajram
Mohammed, Nour (la strepitosa Hiba Atallah), Ahmad e Omar: quattro bambini a Gaza in bici, in barca, sulla spiaggia mentre studiano, giocano, suonano vecchie pentole e sognano di andare all’Opera Hall del Cairo… e nel frattempo cantano ai matrimoni con Nour in seconda fila (tra)vestita da maschiaccio. Durante un concerto Nour si sente male, è costretta a sottoporsi a dialisi ma non basta, Mohammed non è compatibile e Nour muore perché la famiglia non ha soldi né per le medicine né per il trapianto.
Schermo nero e un salto di dieci anni in quella prigione che è nel frattempo diventata Gaza (gli israeliani hanno permesso alla troupe di filmare all’interno della Striscia solo per tre giorni: e così possiamo vedere palazzi crollati, tante, troppe persone mutilate e i ragazzi del Parkour) dove Ahmed porta il fast food egiziano attraverso i tunnel, Omar è una guardia di Hamas e Mohammed lavora come tassista e canta ai matrimoni per pagarsi gli studi universitari senza mai dimenticare il “cambieremo il mondo” dell’infanzia con Nour.
Arriva così al Cairo per partecipare ad Arab Idol attraverso mille peripezie: il falso visto dal rigattiere che aveva rubato tutti i loro shekel, il salto sul camion per passare la frontiera, la bugia rifilata alla guardia islamista, il biglietto per partecipare al programma regalatogli da uno sconosciuto che lo sente cantare in bagno e poi finalmente l’arte senza più confini. Ma Mohammed «l’unico concorrente mai arrivato da Gaza» assume immediatamente un ruolo politico di riscatto che gli provoca stress (splendide sono le immagini nella piazza di Nazareth la sera della finale filmate in diretta dal regista stesso) ma che gli da anche la carica mentre parla alla foto di Nour e telefona alla madre. Il finale è noto: vittoria all’unanimità, delirio in Palestina e Mohamed Assaf che diventa una star internazionale e ambasciatore dell’Unrwa girando il mondo con un passaporto diplomatico (anche se per rientrare a Gaza ha sempre e comunque bisogno del permesso israeliano!)
Un biopic leggero, intelligente e sensibile che non cade nell’agiografia e che mostra come nella quotidianità palestinese la dinamicità dell’arte si possa trasformare in gesto politico di ribellione.
Il film di Hany Abu-Assad (plurinominato agli Oscar) è da poco uscito nelle sale italiane.
(*) ripreso da «Per I Diritti Umani», 6 maggio 2016