Veneto 2015, un secolo nel cesso!
di Rom Vunner
Voglio partire da una storia personale, familiare. La famiglia di mio nonno paterno viveva in provincia di Venezia al confine con quella di Treviso. Il bisnonno coltivava le vigne, vivevano nella “cascina rossa”, c’erano botti, stando ai racconti che ho sentito, che potevano ospitare fino a dieci uomini in piedi! Sfortunatamente quella cascina divenne fronte di guerra. Tutta la famiglia si vide costretta a partire come profuga verso la Puglia. Furono accolti in un paese con i trulli, con un alto strapiombo (almeno stando ai ricordi di mio nonno che aveva pochi anni e non ricordava il nome del comune). Furono ben accolti e ben trattati. Al termne della guerra tornarono a casa ma non c’era più nulla. Così emigrarono verso il Piemonte, due genitori e dieci figli. Il bisnonno aveva trovato lavoro grazie alla sua conoscenza delle vigne e così emigrarono. Certo si potrà dire che erano profughi e migranti in patria ma nei primi decenni del ‘900 le distanze non erano proprio come oggi: quando arrivarono in Piemonte trovarono gli abitanti del paese in piazza ad aspettarli. Non era odio ma solo curiosità: arrivavano i “mori”. Già, appena si sparse la voce che arrivavano i veneziani tutti pensarono ai “mori di Venezia” e nessuno aveva mai visto un “moro”. Parlavano anche una lingua diversa. Difficile capirsi tra chi parlava piemontese e chi parlava veneto. Da lì una serie di insulti e umiliazioni, i migliori erano “zingari” e “terroni del nord”. Sorte migliore non toccò alle nonne che arrivarono da Veneto e Friuli qualche anno dopo, le servette delle commedie. Nei primi anni ’70 mi sono sentito chiamare “terrone del nord” pure io, poi sono arrivati i terroni del sud e il vento è cambiato, gli insulti erano concentrati su di loro e non più solo su di noi.
Dal Veneto la grande migrazione verso la Lombardia fu però nel secondo dopo guerra. La situazione di quei veneti è ben raccontata in “Milano, Corea” di Franco Alasia e Danilo Montaldi con una prefazione di Danilo Dolci uscito nel 1959. Il libro, rieditato nel 2010 da Donzelli, racconta la storia di questa migrazione interna, una migrazione di poche centinaia di chilometri che creò un esercito di ladri e prostitute. Qui in Veneto ho raccolto un vecchio detto: dice che quando il treno partiva faceva “pa-la-e-pi-co, pa-la-e-pi-co”, quando tornava “chi-i-ga-i-ga, chi-i-ga-i-ga”. Questo era il “ciuf-ciuf” di quei carri bestiame: si partiva con la pala e il picco per andare a lavorare e quando si tornava qualcuno aveva soldi e qualcuno no.
A distanza di un secolo quegli stessi che vollero la guerra mondiale mandando i miei bisnonni prima come profughi e poi come migranti seminano morte e distruzione nel mondo creando ancora nuovi profughi e migranti. Quegli stessi che macinarono una generazione come migranti per gonfiarsi le tasche con manodopera a basso costo e ricattabile spingono nuovi migranti a spostarsi. Ancora una volta stanno spingendo gli sfruttati contro altri sfruttati. A distanza di un secolo, qui dal Veneto, si può dire che abbiamo buttato un secolo nel cesso!
p.s.: qui qualche spunto e riflessione sull’attualità della Prima Guerra Mondiale, quando “gli imperialisti si scontrano per dividersi gli schiavi” (Lenin, 1915) Millenovecentoquattordici