Venezuela alle urne per le presidenziali
Oggi, 28 luglio, il paese sceglie se confermare la fiducia nel chavismo e nella rivoluzione bolivariana o se affidarsi ad un’opposizione che buona parte dei sondaggi indicano come favorita, ma che al suo interno è fortemente divisa, accomunata solo dall’odio contro Maduro e in cui l’estrema destra è preponderante.
Articoli di David Lifodi, Marco Consolo e GeraldinaColotti
Venezuela: sfida tra chavismo ed estrema destra
di David Lifodi
Ogni volta che i venezuelani si recano alle urne, fin dai mesi precedenti il clima di tensione cresce. Le voci su una frode, fatte circolare da un’opposizione divisa e litigiosa quanto irresponsabile, si susseguono, gli Usa ne approfittano per destabilizzare ulteriormente il paese e la stessa comunità internazionale non perde occasione per delegittimare il chavismo.
Il Venezuela che oggi, 28 luglio, vota per le presidenziali, vive in un costante stato d’assedio, nonostante lo scorso 30 giugno, per gettare acqua sul fuoco, il governo abbia promosso una simulazione della giornata elettorale allo scopo di dimostrare che il sistema di voto è a prova di brogli e che l’esito del risultato elettorale risulti incontestabile.
In un sondaggio dello scorso 30 aprile, realizzato dall’istituto venezuelano Meganalisis, Edmundo González Urrutia, principale rivale di Nicolás Maduro, sembrerebbe godere di un ampio vantaggio sull’attuale presidente, 32,4% delle intenzioni di voto contro l’11,2%. È stato proprio questo sondaggio (insieme ad altri, più recenti, promossi da Datanálisis, Datincorp, Delphos, Consultores 21, Poder y Estrategia, tutti concordi sulla sconfitta del chavismo) a spingerlo a non sottoscrivere il patto ratificato sia dallo stesso Maduro, per il Gran Polo Patriótico Simón Bolívar, sia da gran parte dei candidati oppositori in cui (quasi) tutti gli aspiranti ad insediarsi a Miraflores si impegnano a riconoscere l’esito delle urne.
Edmundo González Urrutia non è un candidato qualunque, ma il delfino di María Corina Machado, leader di Vente Venezuela e a sua volta inabilitata a candidarsi poiché, nel 2014, quando era membro dell’Assemblea Nazionale aveva assunto l’incarico di ambasciatrice del governo di Panama presso l’Organizzazione degli stati americani (Osa). Fu proprio in quella circostanza che Machado chiese l’applicazione della Carta democratica interamericana contro il Venezuela, perdendo così l’immunità parlamentare e il seggio all’Assemblea Nazionale poiché la legge venezuelana stabilisce che un funzionario pubblico eletto non possa accettare incarichi per conto di governi stranieri.
Non è semplice giudicare un governo come quello bolivariano, costretto a vivere in una sorta di stato d’assedio permanente che, inevitabilmente, conduce l’esecutivo anche a commettere degli errori e ad una serie di contraddizioni, ma l’opera di destabilizzazione costante promossa sia dall’interno sia dall’esterno del paese (Usaid insiste nel definire le elezioni venezuelane non libere), al pari dei tentativi di portare ad un’estrema polarizzazione il Venezuela, possono essere definiti, nel migliore dei casi, come irresponsabili, anche perché sfruttano una congiuntura economica già precaria e che probabilmente nemmeno gli oppositori di Maduro sarebbero in grado di risanare.
Il Venezuela bolivariano continua a far paura perché rappresenta un’America latina non allineata al pensiero dominante e per questo motivo, a differenza di paesi come l’Argentina di Milei, viene definito un regime dagli stessi partiti liberali e progressisti, nonostante dall’epoca di Chávez si siano tenute oltre trenta elezioni, compreso il referendum che il chavismo perse, nel 2007, per la riforma costituzionale e, anche in quel caso, l’esito delle urne fu riconosciuto senza alcun problema. Inoltre, la stessa Costituzione venezuelana contempla una serie di opzioni per lo svolgimento di referendum ed elezioni di revoca come poche altre e, di conseguenza, gli attacchi al chavismo appaiono ingiustificati comunque scatenati ad arte.
Al contrario, si parla molto poco del caos che potrebbe avvenire il giorno del voto. Si vocifera, con sempre maggior insistenza, di tentativi di destabilizzazione e atti di sabotaggio che sarebbero coperti o comunque coordinati dall’ambasciata argentina, con la quale è in contatto María Corina Machado, la vera sfidante di Maduro, anche se inabilitata a partecipare. In questo caso, sebbene nessuno lo abbia sottolineato, il Venezuela ha evitato di seguire il comportamento tenuto dalla polizia ecuadoriana, che, il 5 aprile scorso, fece irruzione nell’ambasciata messicana a Quito per prelevare con la forza l’ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, eppure, nonostante tutto, continua ad essere definito come un paese non libero.
El País, che non è mai stato tenero con il chavismo, riporta una denuncia delle ong, tra cui Laboratorio de Paz e Instituto de Prensa y Sociedad, che, dall’inizio della campagna elettorale, hanno ricordato i 71 arresti per motivi politici e le decine di violazioni della libertà di stampa, ma sembrano essere proprio le stesse organizzazioni non governative, secondo il chavismo, a rappresentare il cavallo di Troia dell’opposizione perché godono, da tempo, di ampio sostegno economico dagli Usa.
Quanto a González Urrutia, designato da Machado nonostante si tratti di una figura poco conosciuta e spinta a partecipare solo dopo aver ricevuto garanzie sul fatto che sarebbe stata l’esponente di Vente Venezuela a condurre la campagna elettorale, potrebbe si vincere le elezioni puntando sul desiderio di cambiamento su cui ha scommesso l’opposizione, ma probabilmente andrebbe poco lontano. Per l’opposizione di centro-destra, riunita intorno ad Acción Democrática e Un Nuevo Tiempo, l’unico obiettivo è cacciare Maduro da Miraflores puntando ad una sorta di riconciliazione nazionale. L’estrema destra, invece, in caso di sconfitta del chavismo, intende perseguire una politica di privatizzazioni molto simile a quella di Milei in Argentina, volta a distruggere lo stato dal suo interno, a partire dal settore petrolifero, ma, soprattutto, accusa alcuni degli sfidanti di Maduro di essersi candidati al voto solo come specchietti per le allodole.
Gli Usa, dal canto loro, scommettono solo ed esclusivamente su María Corina Machado, sostenuta da quel latifondo mediatico che ha sempre nascosto uno dei motivi principali della crisi dell’economia venezuelana, le sanzioni, e che si inserisce perfettamente nel contesto dei leader latinoamericani ed europei di ultradestra, tanto da festeggiare la sconfitta del kirchnerismo in Argentina, elogiare Milei come “super claro, audaz, y lleno de energía”, mantenere rapporti con l’ex presidente colombiano Duque e definire Abascal, leader degli spagnoli di Vox, come “amico”.
Eppure, di tutto ciò, in Europa non si parla, come si tralascia di ricordare che Machado ottenne l’amnistia da Hugo Chávez, dopo esser stata condannata a 28 anni di carcere poiché aveva ratificato il cosiddetto “decreto Carmona”, che convalidava il golpe del 10 aprile 2002, e ricevuto un sostegno economico per oltre 50.000 dollari dal Fondo Nacional para la Democracia, finanziato dal Congresso Usa e diretto ad una ong da lei creata per sovvertire l’ordine democratico in Venezuela.
Sono passate sotto silenzio anche le minacce di morte a sindaci dell’opposizione dichiaratisi indipendenti e che hanno deciso di appoggiare il chavismo, come ha informato Telesur tv. Si tratta di Juan Carlos Zamora, sindaco di Tinaco (stato di Cojedes), Pedro Antonio Abreu, sindaco di Rojas e Adriana Azuaje, sindaca di Obispo (stato di Barinas) e Sulme Ávila, sindaca di Juan Germán Roscio (stato di Guárico), che hanno reso pubblico il loro appoggio a politiche di pace, stabilità e crescita economica smarcandosi dall’opposizione.
In definitiva, può succedere che il chavismo venga sconfitto, è nell’ordine delle cose che prima o poi accada, ma definire María Corina Machado una paladina della democrazia in Venezuela, come fa da anni gran parte della democrazia occidentale, evitando di parlare del suo ruolo nelle guarimbas o dell’appoggio concesso al governo parallelo che, a suo tempo, aveva creato Guaidò (poi scaricato dagli stessi Usa) è quantomeno opinabile.
A questo proposito, solo pochi giorni fa, ha destato perplessità un lancio Ansa che titola “30 ex leader condannano la repressione di Maduro”. Leggendo la notizia emerge poi che tra loro vi sono gli spagnoli José María Aznar e Mariano Rajoy (noti per le loro simpatie filofranchiste), i messicani Felipe Calderón e Vicente Fox (i cui governi neoliberisti hanno sempre represso con violenza i movimenti sociali), i colombiani Iván Duque e Álvaro Uribe (conosciuti per la loro indulgenza verso i paramilitari), l’argentino Mauricio Macri (che ha portato allo stremo l’economia del suo paese grazie alle sue politiche privatizzatrici spinte adesso allo stremo da Milei) e l’ecuadoriano Guillermo Lasso (costretto a dimettersi perché del tutto incapace nel governare il paese). Ecco, tutti loro avvertono che, se questa situazione persiste, le “dittature del 21/o secolo nella regione si rafforzeranno, mettendo a rischio la democrazia e lo Stato di diritto”. Da che pulpito!
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Il Venezuela di nuovo al voto
di Marco Consolo (*)
Il prossimo 28 luglio nella Repubblica Bolivariana del Venezuela si terranno le elezioni presidenziali, come da Costituzione. I candidati sono 10, tra cui l’attuale presidente Nicolás Maduro, candidato dell’alleanza del “Gran Polo Patriottico”. Si tratta dell’elezione n. 32 in 25 anni.
Come sempre nel caso del Venezuela esistono due realtà: quella reale e quella virtuale.
La prima è quella che si respira nelle massicce mobilitazioni elettorali di piazza del “chavismo” e nei sondaggi che assegnano la vittoria elettorale a Maduro, con una partecipazione al voto che oscillerebbe tra il 53% ed il 60%.
La seconda è quella diffusa ampiamente dai latifondi mediatici internazionali, dall’artiglieria mediatica in mano ai padroni del vapore, che danno per certa e scontata una vittoria senza precedenti della parte più estremista dell’opposizione e una dura sconfitta per “il regime dittatoriale chavista”.
E la “guerra dei sondaggi” non accenna a diminuire ed è più dura che mai.
L’economia
A differenza del 2018, con le elezioni svoltesi in piena crisi economica (basso prezzo internazionale del petrolio, alto debito, forte contrazione economica…), oggi la situazione è molto migliorata. Sia il Fondo Monetario Internazionale (FMI) [i], che la Commissione Economica per l’America Latina dell’Onu (CEPAL) [ii] proiettano una crescita del PIL del 4% per il 2024. L’inflazione si è ridotta sensibilmente con una parziale battuta d’arresto della speculazione cambiaria, è diminuito l’uso nei fatti del dollaro e si è ripristinata la circolazione del Bolivar (moneta nazionale) anche in forma digitale. Si è avanzato nella salute e nell’educazione (con un recupero di circa un 30%), ma soprattutto nella strategica auto-produzione di alimenti: se all’indomani della vittoria di Chavez si importava circa il 70% del cibo, oggi l’80% è prodotto nel Paese.
E la decisiva produzione petrolifera, che negli anni scorsi era caduta ai minimi storici, è tornata a sfiorare il milione di barili e non è più il solo prodotto per l’export. Non è un caso che multinazionali straniere come Chevron, Repsol e l’italiana ENI stiano lavorando nel Paese e cerchino nuovi contratti. E non è un caso che, da dicembre del 2023, in cerca di petrolio, la Casabianca abbia voluto riprendere i contatti con il governo venezuelano, spinta dalla crisi in Medio Oriente e dai pericoli del trasporto nel Mar Rosso. Lo ha fatto mettendo in secondo piano la stizzosa e litigiosa opposizione venezuelana, senza abbandonare l’obiettivo strategico di sconfiggere il “chavismo” e la sua espressione politica. Ma la sicurezza energetica che il Venezuela può rappresentare per l’intero emisfero occidentale non ha paragoni in quest’area del mondo.
Certo, non è tutto rose e fiori. Il governo Maduro deve fare i conti con una realtà economica ancora critica, che fatica a soddisfare la complessità dei bisogni della società, a partire dall’inadeguatezza dei salari con cui si cerca di arrivare a fine mese. Sul tema salariale, oltre al salario diretto, il governo ha lavorato su quello indiretto (definito Ingreso vital) e sui “buoni”, sussidi che integrano il salario diretto. La questione dell’alimentazione è stata parzialmente risolta attraverso i “Comitati Locali di Distribuzione e Produzione” (CLAP), una rete territoriale e popolare che si occupa della distribuzione sussidiata dei principali beni alimentari del paniere basico e che copre più di 7 milioni di famiglie.
Il processo elettorale
L’opposizione è divisa al suo interno e, negli ultimi giorni, alcuni suoi dirigenti hanno addirittura manifestato appoggio a Maduro. I settori fascisti hanno accumulato errori, uno dopo l’altro. A partire dalla decisione di non partecipare a diverse elezioni precedenti, seguita dalle violenze di piazza (guarimbas) degli anni scorsi, con un saldo tragico di 129 vittime. Tra loro, diverse persone bruciate vive solo perché, in base al colore della pelle (che non era bianca immacolata) o ai vestiti, “sembravano chavisti”. Per non parlare della farsa dell’“auto-proclamato presidente Juan Guaidó, riconosciuto da Washington ed anche dalla Unione Europea. Una farsa che però ha permesso ad alcune imprese “a stelle e a strisce” di impadronirsi con carte false dell’impresa statale CITGO (diverse raffinerie e più di 4000 pompe di benzina negli USA), filiale di PDVSA all’estero. Ed ai personaggi del “governo parallelo” di Guaidó di rubarsi milioni di dollari, con accuse reciproche senza sconti. Ma forse l’errore più clamoroso dell’estrema destra venezuelana è stata la richiesta di intervento militare straniero e di misure coercitive unilaterali (le cosiddette “sanzioni”) che hanno peggiorato sensibilmente le condizioni di vita dell’intera popolazione.
Purtroppo, sembra che gli errori abbiano la testa dura. Il fascismo venezuelano, sotto dettatura dei settori più estremisti degli Stati Uniti, ancora una volta si prepara a gridare ai “brogli elettorali” ed a scatenare violenze fino al 9 gennaio, giorno in cui prenderà possesso il Presidente (ed il governo) uscito da questa tornata elettorale.
Nonostante le interessate dichiarazioni di questi settori e dei loro sostenitori internazionali, il processo elettorale procede e con la massima trasparenza. Come nessun altro nel continente (e probabilmente nel mondo), nel Venezuela bolivariano il sistema elettorale è sottoposto a ben 16 verifiche. Tra le tante, vi sono la revisione del software, dell’efficienza delle macchine di votazione e la verifica delle liste elettorali. Tutte le verifiche (prima, durante e dopo le elezioni) si svolgono alla presenza di rappresentanti politici e tecnici dei partiti dei dieci candidati, nonché di osservatori nazionali e internazionali. Un percorso verificato e convalidato attraverso la firma elettronica dei rappresentanti di tutti i candidati.
Il pericolo della violenza fascista
In questo periodo, ci sono stati due fatti chiave, che rivelano le reali intenzioni della destra legata al golpismo e alle azioni terroristiche.
Innanzitutto, otto sui dieci candidati alla presidenza, lo scorso 20 giugno hanno firmato, su proposta del governo, un accordo per riconoscere il risultato elettorale. Lo hanno fatto, rispettando gli accordi firmati alle Barbados il 17 ottobre 2023 tra il governo e le opposizioni (con l’accompagnamento del governo norvegese e di quello colombiano). L’accordo è stato firmato dai candidati Antonio Ecarri, Luis Eduardo Martínez, José Brito, Daniel Ceballos, Javier Bertucci, Benjamín Rausseo, Claudio Fermín e Nicolás Maduro. Viceversa, non lo hanno firmato né Enrique Márquez, né il candidato dell’estrema destra, Edmundo González. Ma, con la faccia di bronzo che la caratterizza, nelle ultime settimane l’estrema destra venezuelana ha chiesto al governo di rispettare i risultati elettorali, omettendo il dettaglio di non aver voluto firmare l’accordo proposto.
La mancata firma dell’accordo allude alla volontà di ignorare i risultati e promuovere una nuova ondata di violenza. Non si tratta di gridare “al lupo, al lupo”, visto che anche nelle ultime settimane ci sono state azioni di sabotaggio ed altre sono state sventate. Non solo. La scorsa settimana, con una clamorosa denuncia pubblica, il gruppo paramilitare colombiano di estrema destra “Autodefensas Conquistadores de la Sierra” ha rivelato che esponenti della destra venezuelana li avevano contattati per realizzare azioni violente. Nella denuncia, diffusa il 6 luglio scorso sull’account X : @ACSN129068 dell’organizzazione paramilitare, si chiede “….rispettosamente al signor Presidente Gustavo Petro di adottare le misure pertinenti affinché le autorità venezuelane possano avere un dialogo diretto con la nostra organizzazione, per fornire loro le informazioni e quindi avviare i rispettivi procedimenti legali”.
Il secondo episodio è stata la realizzazione di prove elettorali simulate lo scorso 28 giugno, a cui hanno potuto partecipare tutti i partiti politici e gli osservatori nazionali e internazionali. È servito a testare l’intero sistema utilizzato per quasi vent’anni. Mentre la popolazione ha partecipato con entusiasmo (in alcuni casi fino a tarda notte), l’ultradestra ha cercato di screditarle, creare dubbi, mettere in discussione l’ente elettorale e il sistema elettorale automatizzato.
Due fatti rilevanti, semplicemente ignorati o distorti dai media tradizionali, che hanno costruito una narrazione per ignorare i risultati, gridare ai brogli e avallare uno scenario di violenza nel Paese.
La campagna elettorale
La campagna, partita ufficialmente il 4 luglio, ha permesso a tutti i candidati di svolgere attività nelle piazze, essere presenti sui canali televisivi, radiofonici e digitali, con interviste e la trasmissione costante della loro propaganda elettorale.
Nei grandi media occidentali si è gridato allo scandalo per l’interdizione a candidarsi di Maria Corina Machado, rappresentante dell’estrema destra, da parte della “dittatura chavista”. Ma quale Paese o governo permetterebbe di presentarsi come candidato a chi apertamente (e per anni) ha invocato l’assassinio del Presidente, l’imposizione di “sanzioni”, l’invasione straniera, il terrorismo, arrivando persino a rappresentare governi stranieri in organismi internazionali ? Nessuno. Viceversa, soprattutto nei Paesi occidentali, nella maggior parte dei casi verrebbero messi in carcere e interdetti dalle cariche elettive. Per non andare lontano, in Italia le norme costituzionali sono chiare: l’articolo 52 recita che “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. E l’Art. 54 dice che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”.
Ma quelle in Venezuela non sono elezioni qualsiasi. Dal minuto dopo la vittoria elettorale di Hugo Chávez Frías, gli Stati Uniti e diversi governi europei e sudamericani hanno promosso una politica di destabilizzazione, disinformazione e assedio economico. Da allora, hanno utilizzato ogni tipo di “sanzioni”, colpi di Stato, attacchi armati, nonché tentativi di assassinio del Presidente per cercare di rovesciare il governo bolivariano. Tutte azioni richieste a gran voce ed appoggiate da personaggi come María Corina Machado, Leopoldo López, Antonio Ledesma e Henrique Capriles.
Il bottino sono le più grandi riserve di petrolio accertate nel pianeta, il gas, miniere d’oro e le grandi risorse minerarie, oltre ad una ricchissima bio-diversità. E sul versante della battaglia delle idee, si tratta della disputa storica nel continente tra Monroismo e Bolivarianesimo, tra fascismo e democrazia. È la battaglia di un popolo che difende il suo sistema democratico, “participativo y protagonico”, contro le destre e la ex-socialdemocrazia che appoggiano la guerra, il genocidio del popolo palestinese, che tolgono i diritti sociali e promuovono leggi repressive nei loro Paesi (Italia in primis), mentre pretendono di dare “lezioni di democrazia” al Venezuela.
Il popolo bolivariano torna all’offensiva
Oggi, dopo anni di resistenza, il popolo bolivariano torna all’offensiva. Lo fa reinventando il proprio linguaggio, curando le ferite, superando le difficoltà, con Hugo Chávez come figura di riferimento. Con un’economia in ripresa, con politiche contro la burocrazia e la corruzione, rafforzando “le comuni” e il potere popolare dal basso, creando spazi politici per l’integrazione di tutti gli attori economici e sociali che difendono la sovranità nazionale e contribuiscono alla produzione e alla stabilità economica. Compresi alcuni settori della borghesia nazionale.
Ma come diceva il fortunato titolo di un bel documentario sul golpe del 2002, “La rivoluzione non sarà trasmessa” dall’artiglieria mediatica delle grandi catene internazionali e, ahinoi, dalla RAI e dai giornali di riferimento della destra e del centro-sinistra italiani. Al contrario, ripetono a pappagallo la matrice mediatica della “dittatura” e dei “brogli”, il “frame” promosso dall’ultradestra che si vede già sconfitta alle elezioni. Da settimane, gli oppositori María Corina Machado e Leopoldo López dichiarano che è impossibile che vinca Nicolás Maduro, mostrando la loro peculiare concezione della democrazia. Se non vincono loro e se il potere politico non torna nelle mani di coloro che vogliono privatizzare il Paese e cedere la sua sovranità, è per colpa dei brogli del “regime”.
Il Venezuela è la società perfetta ?
È ovvio che il Venezuela bolivariano non è il paradiso sulla terra, né la società perfetta. Sui limiti, gli errori, i rischi di autoritarismo, la corruzione, gli opportunismi dentro al processo, c’è molto da riflettere e correggere. Ma questo non vuol dire schierarsi a fianco della reazione che vuole tornare a comandare ed a fare il bello e cattivo tempo nella “Venezuela saudita” dei bei tempi passati. Per capirci, quella degli anni che hanno provocato la rivolta popolare del Caracazo nel 1989, represso nel sangue con migliaia di morti senza nome.
A pochi chilometri, l’Argentina di Milei è lo specchio di ciò che María Corina Machado ed Edmundo González vorrebbero fare in Venezuela con il loro piano “Terra di Grazia”. La proposta dell’opposizione più estremista è la fotocopia del modello neoliberista che ha portato l’Argentina a conseguenze disastrose per la popolazione. Con l’intenzione dichiarata di replicare quelle politiche di aggiustamento fiscale, l’eliminazione dei sussidi e dei programmi sociali, la ricerca di finanziamenti internazionali che possono ipotecare l’economia del Paese e, in particolare, l’idea di privatizzare le imprese dei settori strategici, soprattutto l’industria del petrolio e del gas. Una ricetta simile a quella applicata al popolo argentino con le rispettive devastanti ripercussioni.
E se qualcuno avesse dubbi sulla natura classista dell’opposizione e sulla loro agenda neo-liberista, consiglio di leggere un tweet di “Vente Venezuela”, partito della destra venezuelana. “Non daremo mai più allo Stato il potere di renderci “uguali”: questo porta alla povertà e alla schiavitù” [iii] . Più chiaro di così….
Il 28 luglio in Venezuela è in gioco il futuro. Mantenere l’indipendenza e la sovranità o tornare ad essere una colonia.
[i] https://www.imf.org/en/Countries/VEN
[ii] https://www.cepal.org/sites/default/files/pr/files/tabla_actualizacion_proyecciones_pib_mayo-2024-esp.pdf
[iii] cfr. @VenteJovenT
(*) Link all’articolo originale: https://marcoconsolo.altervista.org/il-venezuela-di-nuovo-al-voto/
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