Venezuela: ancora un tentativo di golpe

Nuove manovre degli antichavisti per destabilizzare il paese, ma Guaidó per ora non gode del sostegno della maggioranza della popolazione.

di David Lifodi (*)

Siamo alle solite. Ancora una volta, su input della Casa Bianca, Guaidó cerca di forzare la mano per rovesciare il governo del Venezuela bolivariano con un colpo di stato. Il paese è di nuovo sull’orlo della guerra civile e l’informazione embedded la fa da padrone. Quello di Maduro è un “regime” a priori, pur essendo stato eletto democraticamente, quelle dell’opposizione sono proteste pacifiche e non un colpo di stato, come ha tentato di precisare più volte Guaidó, un presidente autoproclamatosi tale senza alcuna legittimazione elettorale forte, adesso, del sostegno di Leopoldo López, il picchiatore del partito fascista Voluntad Popular liberato da un gruppo di militari antigovernativi e incredibilmente descritto dalla stampa di tutto il mondo come un sincero democratico.

Nonostante si parli di colpo di stato fallito in partenza, la situazione in realtà è più complessa. Pur se oscurate dai media, le manifestazioni di sostegno a Maduro, ma soprattutto a difesa del Venezuela dalle ingerenze straniere e della democrazia, devono comunque fare i conti con una nuova, per quanto ridotta, dissidenza delle Forze armate, con la ripresa delle guarimbas e con la chiamata alle armi di Guaidó, insieme alla diffusione di notizie false, come riporta Telesur  tramite la giornalista Madelin García, la quale ha informato che la base aerea di La Carlota, che tutti indicavano come già presa dall’ultradestra, in realtà non è stata conquistata, nonostante gli episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti i gruppi più radicali dell’estremismo antibolivariano. A questo proposito, il presidente dell’Assemblea nazionale Diosdado Cabello ha sottolineato come un gruppo di militari sia stato inviato a La Carlota con l’inganno, senza che fosse detto loro che l’intento era quello di far partire da lì il colpo di stato.

L’autoproclamato presidente Guaidó, insieme al suo sodale López, ha invitato comunque la popolazione a partecipare all’Operazione Libertà, ma come ha scritto il sociologo venezuelano Álvaro Verzi Rangel, condirettore del Clae (Observatorio en Comunicación y Democracia y del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico), nessuno parla di almeno 40.000 suoi concittadini morti in meno di due anni a seguito delle sanzioni illegali imposte dagli Stati uniti per rovesciare un governo democraticamente eletto. Un economista universalmente stimato e riconosciuto come Jeffrey Sachs ha definito le sanzioni come un atto volto a distruggere deliberatamente l’economia del Venezuela.

Quanto a Juan Guaidó, adesso acclamato da mezzo mondo come il liberatore del Venezuela dalla “dittatura”, giova ricordare che non era niente più che un dirigente di seconda fila di Voluntad Popular, almeno fin quando Trump non ha deciso di puntare su di lui per accelerare il colpo di stato puntando su un’ambigua emergenza umanitaria nel paese alla quale non hanno abboccato, tra gli altri, organismi di soccorso internazionale come la Croce rossa e la Mezzaluna rossa.

Solo pochi giorni fa, il 27 aprile, il Venezuela aveva deciso di uscire dall’Osa (Organizzazione degli stati americani) dopo che con 18 voti favorevoli e 14 astenuti o contrari era stato riconosciuto Gustavo Tarre Briceño, uomo di Guaidó, come rappresentante ufficiale del Venezuela in seno alla stessa organizzazione. Difficile capire che direzione prenderà adesso la crisi venezuelana, poiché Guaidó, non controlla una sola parte del territorio venezuelano, gran parte dei militari, per ora, sembra rimanere fedele a Maduro e il Gruppo di Lima, pur avverso a Maduro, sembra tentennare a proposito di una eventuale azione militare contro Caracas, anche se le condizioni per uno scenario simile a quello siriano potrebbero realizzarsi rapidamente.

Ancora è presto per dire se questo nuovo tentativo di colpo di stato è fallito, ma soprattutto preoccupa la strategia di destabilizzazione permanente che, a ondate, cerca di far capitolare il Venezuela bolivariano, nonostante finora Guaidó e López non abbiano ottenuto quel sostegno popolare che si aspettavano, con buona pace dei servizi televisivi che tendono a mostrare un paese pronto ad affidarsi a due liberatori diretti come burattini dagli Stati uniti e dalla Colombia.

Tuttavia una cosa è certa: la mobilitazione a cui incita Guaidó è tutt’altro che non violenta e sembra incredibile che la stampa abbia subito adottato la sua parola d’ordine, quella che definisce Maduro come “usurpatore”. Ancora una volta occorre ricordare che usurpatore è colui che si definisce, senza alcun processo elettorale, presidente del Venezuela: Juan Guaidó.

(*) articolo tratto da Peacelink – 1 maggio 2019

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • La Bottega del Barbieri

    Riceviamo e segnaliamo da parte di No War Roma:

    “A proposito, sapete della meravigliosa occupazione dell’Ambasciata del Venezuela (con l’OK dell’Ambasciatore) che si sta svolgendo in questi giorni a Washington?
    Le retroscene: l’Asse del Male (Trump-Bolton-Pompeo-Abrams) ha chiesto alla polizia di evacuare lo staff dell’ambasciata in modo che gli uomini di Guaidò potessero occupare l’edificio a proclamare un nuovo ambasciatore (loro).
    Gli attivisti di CodePink, di Answer e di altre associazioni statunitensi antimperialiste ne hanno avuto sentore e, per prevenire il colpo, d’intesa con l’Ambasciatore, hanno cominciato un “live-in”. Cioè, vivono nell’Ambasciata, giorno e notte, il che (secondo la legge dello Stato di Washington DC) dà loro diritto di permanenza fin quando non venga celebrato un processo che dimostri l’illegalità della loro occupazione. Una illegalità difficile a dimostrare dal momento che sono stati offerti l’ospitalità da parte del proprietario legittimo dell’edificio (l’Ambasciatore nominato da Maduro) e comunque, per celebrare un processo di questo tipo, ci vorrà mesi.
    La polizia ha minacciato gli occupanti ma non ha osato varcare la soglia dell’Ambasciata, in quanto zona extra-territoriale. Inoltre, per prendere possesso dell’edificio, i poliziotti dovrebbero camminare sui corpi di decine di attivisti sdraiati per terra oppure arrestarli e trascinarli fuori: ma fuori c’è la stampa e la polizia, dal momento che la sua entrata nell’Ambasciata è tecnicamente illegale, non vuole creare un incidente. Quindi finora desiste.
    L’Asse del Male ha mandato poi squadristi venezuelani pro-Guaidò per sfondare la porta e trascinare fuori gli attivisti: ma le donne (e sottolineo le donne) e gli uomini dentro li hanno respinti, rispondendo colpo su colpo… mentre la polizia, fuori, guardava con indifferenza.
    Avendo perso il match di pugilato, gli squadristi pro-Guaidò hanno deciso di assediare l’edificio per obbligare gli occupanti di uscire per la fame. Alcuni attivisti sono infatti usciti… ma per fare la spesa. Solo che, quando hanno cercato di tornare, la polizia li ha impedito di entrare. Medea Benjamin, una leader delle Code Pink, è quindi corso dietro l’Ambasciata per lanciare i sacchi di viveri attraverso una finestra aperta. Ce l’ha fatto ma è stata arrestata per — non scherzo, è scritto così nel verbale della polizia — “lancio di missili.” (In inglese, un “missile” può essere qualsiasi oggetto aerodinamico lanciato in aria e Medea ha effettivamente lanciato delle forme di pane allungate, tipo baguette francese).
    Come vedi, il tutto sta assumendo dei contorni grotteschi e farseschi. Evidentemente l’Asse del Male ha perso il suo senso di umorismo, se mai l’avesse avuto.
    Intanto, per ora, gli occupanti tengono duro”

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