Venezuela: l’ambiguità degli aiuti umanitari
Si cerca il casus belli per far cadere Maduro. Il Comitato internazionale della Croce rossa in Colombia si dissocia dalla strumentalizzazione dell’assistenza umanitaria
di David Lifodi (*)
Il 23 febbraio gli aiuti umanitari entreranno in Venezuela. Ad esserne sicuro è Juan Guaidó, autodenominatosi presidente ad interim del paese, che si augura lo scoppio di un casus belli per far cadere Maduro e conquistare il potere. Sull’assistenza umanitaria si gioca gran parte del futuro del Venezuela bolivariano. Le difficoltà del paese a livello economico sono note, così come è evidente la mancanza di generi di prima necessità (dovuta allo strangolamento economico degli Stati uniti e agli errori del governo), tuttavia dietro alla polemica sull’ingresso o meno degli aiuti umanitari del paese si cela un nuovo tentativo degli Stati uniti e di alcuni paesi latinoamericani (su tutti la Colombia), di destabilizzare ancora di più Maduro e il chavismo.
“Il dittatore Maduro non vuole che la popolazione abbia accesso agli aiuti umanitari” è il refrain ripetuto dall’opposizione e da gran parte della stampa allineata. In realtà, a denunciare l’ambiguità di questo tipo di aiuti umanitari è stato il vice-direttore del Sole 24 Ore, Alessandro Plateroti, non certo un simpatizzante chavista. Le sue parole, pronunciate nel corso della trasmissione Porta a Porta, sono state riportate anche dal quotidiano il manifesto: “In America latina abbiamo avuto rapporti con l’Argentina dei militari, con il Cile di Pinochet, con i peggiori dittatori e nessun Parlamento italiano si è mai sognato di dichiarare l’illegittimità delle elezioni”. Non solo. Plateroti ha precisato che non si può ricorrere alla solidarietà internazionale “ad uso e consumo dell’opportunità politica solo perché gli Stati uniti combattono una nota e ventennale guerra contro il Venezuela”.
A ritenere che gli aiuti rappresentino solo il cavallo di Troia per entrare in Venezuela lo pensa anche il capo delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa in Colombia Christophe Harnisch, il quale ha già annunciato che la sua associazione non parteciperà all’assistenza umanitaria proveniente dagli Stati uniti. Gli aiuti dagli Usa non hanno nulla di umanitario, ha puntualizzato Harnisch, sottolineando una volta di più come i principi di assistenza umanitaria in cui si identifica la Croce rossa siano indipendenza, imparzialità e neutralità che, in questo caso, non sono assolutamente rispettati.
Sulla vicenda degli aiuti umanitari è intervenuto anche il filosofo, linguista e politologo Noam Chosmky, il quale ha ricordato come lo stesso scenario si sia già riproposto in occasione dei bombardamenti in Serbia (1999) e Libia (2011). In più di una circostanza gli Stati uniti, a cui si sono accodati diversi paesi europei, hanno trasformato quella che avrebbe dovuto essere un’azione solidale in un atto apertamente propagandistico, come emerge anche dal programma televisivo El Citizen, condotto da Miami dall’ex diplomatico e giornalista venezuelano Leopoldo Castillo. Quest’ultimo ha sostenuto che gli aiuti sarebbero rivolti ad una parte minima della popolazione venezuelana per giustificare un intervento militare mascherato da azione umanitaria. Gli aiuti, consistenti in un pacchetto di cibo sufficiente per la sussistenza di un solo giorno, verrebbero consegnati da Usaid, istituzione finanziata dal Dipartimento di Stato Usa e già nota per le attività di destabilizzazione condotte per anni contro Cuba. Questo tipo di aiuti sembra che abbia deluso gli stessi oppositori del governo, fiduciosi che l’assistenza umanitaria sarebbe consistita in una sorta di “Clap migliorato”, avendo come termine di riferimento i Comités Locales de Abastecimiento y Producción del chavismo.
In mancanza di armi di distruzioni di massa nelle mani del Venezuela bolivariano in grado di giustificare un intervento armato, il casus belli dirimente sarà probabilmente la carovana umanitaria che dovrebbe attraversare la frontiera tra Colombia e Venezuela per trovarsi di fronte le Forze armate bolivariane, le quali dovranno decidere se far passare gli aiuti umanitari, utilizzati come strumento di pressione politica su Maduro e il governo, oppure no. La mediazione di Messico e Uruguay, incentrata su un tentativo di riconciliazione per uscire dalla crisi, non sembra essere nemmeno preso in considerazione da Guaidó.
In Venezuela mancano i generi di prima necessità (cibo, medicine, oggetti per l’igiene personale) e la reale crisi economica ogni giorno fa accrescere il malessere quotidiano che Guaidó cerca di sfruttare a pro suo definendo il governo chavista come il responsabile di questa situazione. L’autoproclamato presidente parla addirittura di legami tra il governo bolivariano e il narcotraffico senza però fornire alcuna prova. In un contesto che può essere definito come vera e propria propaganda di guerra, gli aiuti umanitari servono anche per coprire l’ingresso in Venezuela, dal Brasile e dalla Colombia, di gruppi paramilitari ostili al chavismo.
A vedere di buon occhio anche il casus belli che permetterebbe, se non l’intervento militare, almeno l’instaurazione a Miraflores di Guaidó con la forza, anche multinazionali come Chevron-Texaco, Exxon-Mobil o Halliburton, tutte interessate al petrolio venezuelano, tanto da spingere John Bolton, l’uomo di Trump addetto alla sicurezza nazionale, a dichiarare che gli Stati uniti non vedono l’ora di poter avere multinazionali petrolifere interessate ad investire e a produrre il petrolio in Venezuela. Prima contro Chávez e adesso contro Maduro, dall’interno e dall’esterno del Venezuela, sono stati promossi scioperi petroliferi, serrate padronali, tentativi di colpo di stato, guarimbas e guerra economica. Adesso l’ultimo tentativo per far cadere il chavismo passa attraverso gli aiuti umanitari dalla città di Cúcuta, al confine tra Colombia e Venezuela. Il rischio che il paese si trasformi in una nuova Siria o in un nuovo Irak è sempre più vicino.
(*) articolo pubblicato su Peacelink – 18 febbraio 2019