Venezuela: Maduro di nuovo presidente

Maduro passa indenne le elezioni del 28 luglio e si conferma alla guida del paese con il 51,2% dei voti nonostante le manovre della destra radicale, che grida ai brogli e persiste nel suo tentativo di destabilizzazione.

Un podcast di Geraldina Colotti, articoli di Marco Consolo, David Lifodi e Lorenzo Poli.

PODCAST. Nicolas Maduro riconfermato presidente del Venezuela

di Eliana Riva

 

Riconfermato presidente con il 51,2% dei voti, Nicolas Maduro rimane alla guida del Venezuela. Le opposizioni hanno chiesto lo spoglio manuale dei voti, nonostante il sistema elettorale sia automatizzato e accessibile a tutti i partiti e i candidati.

Un attacco informatico ha messo alla prova il sistema e sono state denunciate ingerenze straniere.

Dal Venezuela Geraldina Colotti ci racconta cosa è accaduto e ci aggiorna sugli ultimi eventi.

Ascolta il podcast: https://pagineesteri.it/2024/07/29/america-latina/nicolas-maduro-riconfermato-presidente-del-venezuela/

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Maduro presidente!

di Marco Consolo (da Caracas)

La realtà ha la testa dura e chi la nega può andare a sbattere.

Si potrebbe sintetizzare così il risultato delle elezioni presidenziali in Venezuela (n. 31 in 25 anni) che ha visto la vittoria e la conferma di Nicolás Maduro e la sconfitta del candidato dell’opposizione di estrema destra.

I numeri non lasciano dubbi. Mentre scrivo, con l’80% dei voti scrutinati ed una tendenza irreversibile, Nicolás Maduro si afferma con il 51,2 %, mentre il principale candidato dell’opposizione e degli Stati Uniti, Edmundo Gonzales rimane indietro con il 44,2 %. Tutti gli altri candidati insieme hanno ottenuto il 4,6 %. La partecipazione è stata del 59%.

Il Presidente del Consiglio Nazionale Elettorale, Elvis Amoroso ha denunciato un attacco al sistema di trasmissione dei dati, che sarà investigato dagli organismi competenti e dalla giustizia.

All’opposizione non è bastata la martellante propaganda di una realtà virtuale diffusa a reti unificate dai grandi latifondi mediatici, soprattutto all’estero. Non è servita la strategia di non riconoscere i risultati elettorali gridando ai brogli, una strategia ormai consunta, ripetuta più volte senza successo sotto suggerimento degli spin doctors dei settori più oltranzisti di Washington. Inutile il bombardamento delle migliaia di “bots” che hanno ripetuto il copione di accusa alla “dittatura chavista”. Non sono serviti i tentativi di sabotaggi ed attentati (alcuni riusciti) per seminare la paura. Ma quasi tutti sono stati sventati dall’intelligence chavista. L’ultimo attentato sventato all’alba della vigilia del voto. Falliti quindi i piani di destabilizzazione golpista. L’opposizione si è presentata divisa, poco creativa, ma sempre foraggiata dalla Casabianca e da settori dell’Unione europea, con in prima fila la destra spagnola.

Non è servito neanche lo show mediatico aereo montato da alcuni parlamentari delle destre fasciste di Spagna, Cile e Panama che, senza nessun invito ed in mancanza di visto, sono stati diplomaticamente bloccati negli aerei diretti a Caracas e rimandati a casa.

E si sono rivelate inutili le 930 misure coercitive unilaterali (mal chiamate sanzioni) con cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno cercato di mettere in ginocchio il Paese e prenderlo per fame e stenti.

Nonostante le difficoltà e l’impatto sulle condizioni di vita della popolazione, ha vinto la resistenza di un popolo che non si è fatto piegare, insieme alla sua dignità esemplare. Ha vinto la coscienza di un popolo che, con la vittoria di Chavez nel 1998, ha smesso di essere invisibile e ha riconquistato il protagonismo attraverso l’esercizio della democrazia diretta. Decisiva è stata l’organizzazione capillare del Partito Socialista Unito del Venezuela e la creatività della campagna elettorale, centrata sulla necessità di pace, stabilità e unità nazionale verso la ripresa economica. Esce sconfitto il fascismo interno e l’ingerenza esterna.

Per conoscere da vicino il processo elettorale sono presenti nel Paese più di 900 accompagnanti internazionali (tra cui chi scrive) di oltre 100 Paesi, oltre agli osservatori del Consiglio di Esperti elettorali dell’America Latina, del Centro Carter, ex presidenti della repubblica ed altri organismi. Ricordo che lo stesso Jimmy Carter aveva parlato del sistema elettorale venezuelano come uno dei sistemi più sicuri del mondo.

Le reazioni internazionali

Subito dopo la chiusura dei seggi, c’è stata una importante dichiarazione della vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, con cui sembra arrendersi alla realtà della vittoria di Maduro e scaricare l’opposizione fascista più estrema. In contraddizione con Harris, il Segretario di Stato, Antony Blinken, chiede il riconteggio dei voti.

Prima che fossero dichiarati i risultati ufficiali dal Consiglio Nazionale Elettorale, con una grave ingerenza negli affari interni del Venezuela, il fascista arentino Milei ha fatto appello alle FF.AA. a dare un colpo di Stato e la sua Ministra degli Esteri è alla testa dell’assedio dell’ambasciata venezuelana a Buenos Aires. Da parte loro, i ministri degli Esteri dei governi della destra continentale (insieme al Guatemala) sono entrati a gamba tesa con un’operazione che cerca di perturbare i risultati elettorali.

Il Venezuela si conferma uno degli epicentri dello scontro in atto tra il potere egemonico in decadenza degli Stati Uniti e un mondo emergente multipolare.

Ci sarà tempo per un’analisi più approfondita. Nel frattempo, stasera, tra i fuochi d’artificio, migliaia di persone si sono dirette verso il Palazzo presidenziale di Miraflores per festeggiare la vittoria. È lo stesso edificio davanti al quale il popolo venezuelano si era mobilitato contro il golpe del 2002 e aveva reclamato la libertà del Comandante Chavez, mettendo in fuga i golpisti.

Oggi la speranza sta nelle strade. Il Venezuela bolivariano continua il suo cammino del socialismo del XXI° secolo.

(*) Link all’articolo originale: https://marcoconsolo.altervista.org/venezuela-maduro-presidente/

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Venezuela: la conferma del chavismo

di David Lifodi

Foto: https://www.nodal.am/

Con il 51,2% dei consensi, Maduro si conferma alla presidenza del Venezuela fino al 2031. Anche stavolta, la strategia della destabilizzazione condotta dall’estrema destra di María Corina Machado e del suo alfiere, il diplomatico Edmundo González Urrutia, fermatosi al 44,2% delle preferenze, non ha dato l’esito che l’opposizione si attendeva.

Tuttavia, nel paese, la situazione non è tranquilla. Come annunciato da mesi, a prescindere dal numero dei votanti e dallo svolgimento delle elezioni, l’ultradestra ha deciso di insistere sulla strada della denuncia della frode elettorale, spalleggiata anche dai quotidiani progressisti occidentali, compresi quelli italiani, pronti a riportare dubbi di paesi latinoamericani come Argentina o Perù, le cui presidenze sono quantomeno discutibili, ma che nessuno, a livello internazionale, si è mai sognato di mettere in discussione o del Cile, dove Boric, da tempo, ha ingaggiato un inspiegabile aspro scontro verbale con Maduro.

Ovviamente, il Venezuela non è il paradiso sulla terra, così come Maduro non è infallibile e può essere criticato, soprattutto per come si è rivolto, pochi giorni prima delle elezioni, a paesi tutto sommato affini come Colombia e Brasile, mettendo in dubbio il loro sistema elettorale, ma ciò che manca, almeno in Occidente, è un confronto sulla Rivoluzione bolivariana che non segua il discorso di odio condotto da un’opposizione poco credibile, ma, qui da noi, presentata come democratica. Alla fine, negli anni scorsi, gli stessi venezuelani che non si riconoscevano nel chavismo ne avevano abbastanza sia di governi ombra come quello di Guaidó sia delle guarimbas.

La mancanza di un’opposizione che non polarizzi il confronto sul chavismo finisce ogni volta per appiattire il dibattito sulla Rivoluzione bolivariana e così si assiste al paradosso di una destra radicale che scende in piazza, con Edmundo González Urrutia, costretto a recitare il copione (scritto da Machado) di colui che non riconosce il risultato delle urne, unico tra gli altri otto candidati a sostituire Maduro a Miraflores, come del resto era stato il solo a non voler firmare l’accordo per non mettere in discussione l’esito del voto prima del 28 luglio scorso.

Sostenuta apertamente dalla destra argentina e dal suo presidente Javier Milei, l’opposizione venezuelana più radicale ha dovuto mandar giù il boccone amaro della dichiarazione di Kamala Harris. La sfidante di Trump ha sostenuto che la decisione dei venezuelani deve essere rispettata e, a questo proposito, probabilmente, non si può non pensare che coloro hanno scelto di non votare per Edmundo González lo abbiano fatto poiché, in pratica, non lo conoscevano, in quanto si trattava di un oscuro funzionario senza quasi alcuna esperienza politica, letteralmente costretto da María Corina Machado a gettarsi nell’agone politico, ma delegando a lei la campagna elettorale.

Inoltre, il programma del principale sfidante di Maduro si identificava, non casualmente, con quello del presidente argentino Javier Milei, all’insegna degli aggiustamenti strutturali, delle privatizzazioni e dell’incontro tra l’alta borghesia e il capitale transnazionale. Di fronte alla violenza programmata e, in parte, messa in atto dalle frange più radicali dell’opposizione nelle ore successive al voto, come documentato da Telesur tv, il governo ha puntato su una campagna elettorale dedicata alle tematiche della crescita economica, della lotta alla corruzione e all’insegna della continuità rispetto alla cosiddetta salida brusca prospettata dalla coppia Gonzalez Urrutia- María Corina Machado, quest’ultima inabilitata a candidarsi poiché, nel 2014, quando era membro dell’Assemblea Nazionale aveva assunto l’incarico di ambasciatrice del governo di Panama presso l’Organizzazione degli stati americani (Osa) chiedendo, in quella sede, l’applicazione della Carta democratica interamericana contro il Venezuela e perdendo così l’immunità parlamentare e il seggio all’Assemblea Nazionale, in quanto la legge venezuelana stabilisce che un funzionario pubblico eletto non possa accettare incarichi per conto di governi stranieri.

Peraltro, poche ore dopo il voto, a smentire la narrativa bellicosa della Plataforma Unitaria Democrática aveva provveduto il suo stesso esponente, Edmundo González Urrutia: «Los resultados eran inocultables. El país había elegido un cambio en paz». E così, mentre lo sfidante di Maduro, divagando momentaneamente dal copione che era stato costretto a recitare, gettava acqua sul fuoco, non solo le sue parole venivano del tutto ignorate dalla stampa mainstream, ma la stessa Machado insisteva nel dichiarare González Urrutia come nuovo presidente del paese con oltre il 70% dei consensi.

Grazie ad una maggioranza non schiacciante, quale è il 51,2%, e quindi difficilmente definibile come frode, Maduro resterà a Miraflores fino al 2031. Le sfide che lo attendono non sono semplici poiché sarà comunque costretto a fare i conti con con le sanzioni economiche Usa, con i ciclici tentativi di destabilizzazione delle destre, ma soprattutto dovrà adoperarsi per convivere, politicamente parlando, con un’opposizione divisa e in gran parte ancora troppo legata al golpismo e a personaggi che non si fanno alcun scrupolo nel mettere a rischio la sovranità venezuelana. Al tempo stesso, ancora Maduro, dovrà cercare di riannodare il dialogo con quell’opposizione democratica, sistematicamente cancellata da quella più oltranzista, per giungere ad una pacificazione sociale che, per María Corina Machado e suoi sostenitori, rappresenterebbe una vera e propria sconfitta.

Fino al 2031, come già annunciato in un messaggio alla nazione dello scorso 15 gennaio, Maduro si concentrerà sulle cosiddette Siete Transformaciones: economia e sviluppo di un nuovo modello produttivo per far fronte all’inflazione, promozione e sviluppo di scienza, tecnologia, istruzione e cultura, rafforzamento della sicurezza, consolidamento dei diritti sociali, miglioramento della qualità della vita della popolazione, lotta al cambiamento climatico e rafforzamento delle relazioni internazionali affinché il Venezuela entri a far parte del gruppo dei Brics.

Nei prossimi giorni, in base alle mosse dell’opposizione, il quadro potrebbe cambiare soprattutto per quella che continua a prefigurarsi come una feroce demonizzazione della Rivoluzione bolivariana in un paese divenuto terreno di scontro tra Usa e paesi occidentali da un lato e mondo multipolare dall’altro.

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Venezuela, elezioni: Nicolas Maduro vince con il 51,20%

di Lorenzo Poli (*)

Il presidente del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), il rettore Elvis Amoroso, ha annunciato questa domenica la vittoria del candidato del Grande Polo Patriottico, Nicolás Maduro Moros, alle elezioni presidenziali, rieletto per il periodo 2025-2031, con 5.150.092 ovvero il 51,20%.
La partecipazione al voto si è attestata al 60%, un dato stabile in quanto in Venezuela la partecipazione elettorale non è mai stata elevata.
Il secondo posto è stato occupato dal candidato dell’opposizione di destra filo-atlantista Edmundo González della Piattaforma Unitaria Democratica (PUD), con 4.445.978 voti che rappresentano il 44,2% dei voti.
Le elezioni si sono svolte nella regolarità tranne per un tentativo di hackeraggio prontamente bloccato – su cui la procura di Caracas ha già avviato indagini – e con la presenza degli osservatori internazionali accreditati.

La destra fascista grida ai “brogli” per un nuovo golpe

I candidati che si sono presentati alle elezioni erano 10 in rappresentanza degli oltre venti partiti che hanno partecipato a questa tornata elettorale.
Nonostante la grande partecipazione democratica e la garanzia della libertà d’espressione, la leader dell’opposizione di destra, Maria Corina Machado, ha affermato che “il nuovo presidente eletto del Venezuela è l’ambasciatore Edmundo Gonzalez Urrutia” che secondo lei avrebbe “vinto con il 70%” dei voti.
Un fake che ancora una volta sottolinea il carattere golpista della destra venezuelana, nonostante il Consiglio Elettorale abbia annunciato la vittoria di Nicola Maduro.

Come da prassi golpista, anche il regime di Washington, ha sostenuto l’oppsizione di Machado. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che Washington nutre “serie preoccupazioni” sul fatto che i risultati delle elezioni presidenziali del Venezuela “non riflettono la volontà o i voti del popolo venezuelano”.

Questa volta anche l’anarcocapitalista e fascista Milei, Presidente dell’Argentina, si è schierato contro il risultato elettorale in Venezuela.
A Caracas e in altre città si stanno tenendo manifestazioni chaviste in sostegno a Maduro e contro il tentativo golpista di Machado.
https://ultimasnoticias.com.ve/noticias/politica/cne-maduro-gana-con-5120/

L’impossibilità di errore nel sistema elettorale automatizzato a riconteggio manuale del Venezuela

Molti giornalisti della stampa occidentale stanno già parlando di “processo elettorale farsa”, dando adito alle dicerie della destra e di Washington senza neanche sapere come avvengono le elezioni in Venezuela, in totale trasparenza.
É incomprensibile che un sistema ormai in vigore da vent’anni – usato per più di venti elezioni – venga contestato a priori senza basi razionali per affermarlo.

Il sistema elettorale venezuelano automatizzato – voluto nel 2004 da Hugo Chavez – è stato riconosciuto da organismi internazionali come la Fondazione Carter come uno dei sistemi elettorali migliori al mondo per trasparenza anti-brogli.
La persona che si reca a votare, una volta entrata nel proprio seggio, deve lasciare tutti i propri effetti personali all’ingresso ed è vietato fare foto.

Il seggio è composto dal presidente, segretario, membro A, membro B (che immerge il dito dell’elettore nell’inchiostro come prova dell’avvenuto voto), e responsabile CNE della macchina per il voto. La persona votante deposita la propria carta di identità in un apposito supporto in modo che l’incaricato non la tocchi mentre digita il numero in un apposito apparato collegato alla macchina per votare. Una volta digitato il nome la persona votante appoggia il proprio pollice per il controllo impronta digitale e recupera il proprio documento. Se tutto corrisponde la macchina emette un suono di conferma. La persona passa dal presidente che chiede se sa come votare. In caso negativo spiega a distanza, dietro la macchina, come fare. In caso invece affermativo lo passa direttamente alla macchina che viene sbloccata. A partire da quel momento il votante ha 3 minuti per votare. Una volta premuto sullo schermo digitale dell’apparato il logo del proprio partito, la macchina rilascia una ricevuta che la persona votante piega su se stessa, dopo aver controllato la corrispondenza con il proprio voto, e la ripone in una urna apposita. Passa dal segretario, pone ancora il documento di identità, firma il registro in corrispondenza del proprio nome, mette la penna in un contenitore perché possa essere igienizzata, e lascia l’impronta digitale del pollice destro. A questo punto l’operazione di voto si è conclusa e deve abbandonare il seggio. Il tempo totale di voto è tra i 3 e i 5 minuti.

Il dettaglio di come si vota di cui ho scritto sopra fa capire come sia praticamente impossibile qualunque tipo di broglio. La persona che vota controlla la propria ricevuta che è solo comprovante del voto (il famoso “riconteggio manuale”). Il voto è quello della macchina che viene trasmesso a fine giornata. Il doppio controllo dell’impronta digitale impedisce che una persona possa votare due volte.
Inoltre va segnalato che in Venezuela viene fatta una auditoria in tre passaggi, come hanno spiegato al CNE:
1) fase di controllo delle macchine prima del voto;
2) fase di controllo, il giorno delle elezioni, con la verifica cittadina e il controllo su circa il 54% delle macchine a sorteggio;
3) dopo il voto, con 3 passaggi
a) verifica cittadina fatta il giorno successivo al voto;
b) i partiti politici che partecipano alla competizione elettorale verificano che i canali per la trasmissione dei dati non siano stati alterati;
c) e vengono controllate le corrispondenze tra impronte digitali e dati degli elettori e delle elettrici.

Per dare garanzia che dopo ogni passaggio di controllo nulla venga cambiato, viene “costruito” un codice segmentato a cui tutti i partecipanti danno una parte per costruire una firma elettronica che permette modifiche.
In questo modo solo con l’accordo di tutti è possibile intervenire.
L’audit del voto è un atto legale, e i risultati sono pubblici.

I voti sono elettronici, archiviati nelle macchine e inviati via telematica con sistemi protetti. Si può fare un ulteriore confronto con le ricevute del voto avvenuto (il famoso “riconteggio manuale”) che non sono il voto: concetto difficile da comprendere per chi magari ha passato notti a contare crocette e schede.
Ad oggi, nonostante le dichiarazioni di Machado e di Blinken, non ci sono presupposti per gridare ai brogli elettorali in Venezuela e Maduro risulta il presidente legittimo e costituzionale.

(*) Link all’articolo originale: https://www.pressenza.com/it/2024/07/venezuela-elezioni-nicolas-maduro-vince-con-il-5120/

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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