Strike – 4

Venezuela: quando gli operai occupano una fabbrica… con l’autorizzazione del governo

di David Lifodi

Chávez vive y el trabajo sigue, No al cierre ilegal. Queremos trabajar: è gridando questi slogan che lo scorso 26 settembre  gli operai venezuelani dell’impresa statunitense Clorox, specializzata nella produzione e commercializzazione di detersivi, hanno rioccupato i locali della fabbrica, chiusa senza alcun preavviso dai padroni.

La fabbrica era rimasta aperta fino al 19 settembre, prima che il proprietario della filiale venezuelana dell’impresa, Oscar Ledezma, decidesse di chiudere mettendo per strada da un giorno all’altro quasi 500 lavoratori impiegati negli stabilimenti degli stati di Carabobo e Miranda. Il licenziamento è arrivato tramite sms: nel messaggio inviato da Ledezma ai lavoratori c’era scritto che l’impresa avrebbe lasciato il Venezuela. Non solo. Agli operai era stata messa in conto anche la liquidazione e si sarebbero ritrovati senza lavoro se nel Venezuela bolivariano non ci fosse stata la Ley Orgánica del Trabajo, los Trabajadores y Trabajadoras (Lottt), che all’articolo 149 stabilisce che nei casi di chiusura illegale dell’impresa da parte del proprietario, l’occupazione della fabbrica è ritenuta legale e autorizzata dal governo. Non a caso, alla testa degli operai che hanno forzato i cancelli per tornare sul posto di lavoro, c’era il vicepresidente venezuelano Jorge Arreaza. Da Oakland, sede della multinazionale statunitense, nessun segnale: l’ultimo contatto con i proprietari dell’impresa, spiegò il vicepresidente, risaliva a pochi giorni prima della fuga di Clorox dal paese, quando i suoi dirigenti avevano acconsentito ad una riunione telefonica con i più alti vertici del governo bolivariano, peraltro mai avvenuta. Tra le motivazioni della fuga, una non meglio precisata crisi economica del paese e presunte restrizioni operate da parte del governo bolivariano, ma in realtà l’abbandono improvviso del paese sapeva tanto di un atto di sabotaggio e destabilizzazione in un paese che negli ultimi tempi ha dovuto affrontare numerose difficoltà per scarsità dei productos de limpieza. La stampa ostile al proceso bolivariano ha subito urlato all’occupazione illegale di una fabbrica da parte della presidenza Maduro, ma in realtà sono stati gli stessi lavoratori, una volta che era stato comunicato loro il licenziamento, a rivolgersi al Ministero del Lavoro, che ha subito imposto ai dirigenti dell’impresa di riprendere l’attività. A quel punto, però, i vertici di Clorox erano già scappati a Oakland, e quindi lo stesso Ministero del Lavoro, in ottemperanza della Ley Orgánica del Trabajo, los Trabajadores y Trabajadoras, ha ordinato l’occupazione temporale della fabbrica. Successivamente, gli operai si sono riuniti con il Ministero del Lavoro per mettere a punto un piano di autogestione, ma, soprattutto, di ripresa dell’attività. Inizialmente gli operai si sono organizzati per il pagamento di luce, acqua e tutto quanto necessario per riavviare la produzione: la Clorox si è autoproclamata fábrica liberada por sus trabajadores e poco dopo è giunto un messaggio del presidente Nicolás Maduro a sottolineare che, tramite l’occupazione, gli operai avevano messo in pratica quanto stabilito dalla Costituzione di fronte ai proprietari dell’impresa, responsabili di aver violato le leggi venezuelane. L’occupazione temporale di una fabbrica in caso di abbandono o chiusura illegale, in Venezuela, rappresenta il primo passo verso la nazionalizzazione, che può essere caratterizzata da un’autogestione operaia o da un’impresa a capitale misto tra privati e lo Stato. L’unico passaggio saltato, secondo quanto prevede la legge venezuelana, è stata la negoziazione tra operai e impresa sotto la supervisione dello Stato, ma solo perché i vertici di Clorox si sono dati alla fuga: in questo caso, è previsto che sia salvaguardato il posto di lavoro degli operai durante la trattativa in corso, ma Oscar Ledezma sapeva bene di non poter offrire alcunché ai suoi dipendenti. Al contrario, nel Venezuela bolivariano lo Stato ha il dovere di garantire stabilità e sviluppo del processo sociale del lavoro, oltre a tutelare l’esercizio del diritto al lavoro per gli operai, come del resto sapevano bene i vertici di Clorox, impresa che si trova in Venezuela dal 1990 e che quindi ha vissuto tutto il proceso bolivariano, pur preferendo, probabilmente il neoliberismo dell’alternanza puntofijista delle presidenze antecedenti a quella chavista.  L’opposizione ha definito l’occupazione statale della Clorox come una “madurata”, ma in realtà i settori più radicali del movimento bolivariano da tempo chiedono ulteriori incentivi per le fabbriche bajo el control obrero, e del resto, ad essere insolventi, erano i vertici della Clorox, che avevano decretato la chiusura della fabbrica in maniera del tutto illegale e arbitraria.

Nel 2015 il Venezuela dovrebbe ospitare un incontro internazionale delle fabbriche recuperate, ma nel frattempo altre imprese potrebbero fuggire dal paese: in questo caso, governo e operai sono già pronti a nuove occupazioni, dimostrando di tenere più al lavoro dei proprietari. La stessa Clorox è potuta ripartire anche grazie all’esperienza maturata dai lavoratori: una bella lezione per i “padroni del vapore”.

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