Venezuela: sui quotidiani italiani campagna di destabilizzazione senza fine
Il caso della presidenza venezuelana nel Mercosur, osteggiata dal golpista Temer e da un ministro degli Esteri filo stronista. La stampa italiana riprende solo ciò che riporta il latifondo mediatico latinoamericano.
di David Lifodi (*)
Negli ultimi giorni è ripresa con violenza l’aggressione mediatica contro il Venezuela. Non sono solo i quotidiani e gli esponenti della destra latinoamericana a gettare discredito su Miraflores e la rivoluzione bolivariana, ma anche la stampa europea, ed italiana, che si vanta di essere liberale o moderatamente progressista. Tutti concordano su alcuni punti chiave: l’opposizione a Maduro è democratica, i suoi principali esponenti sono in carcere ingiustamente, la crisi alimentare è di esclusiva responsabilità del chavismo e nel paese si violano i diritti umani. Queste tesi, qui da noi, sono propagandate con ostinazione anche da Repubblica e Corriere della Sera, che omettono di raccontare ai lettori, ad esempio, qual è il curriculum del “democratico” Leopoldo López o di altri suoi sodali, e non si stracciano le vesti per denunciare, come sarebbe necessario, i tentativi di estromettere il Venezuela dal Mercosur, la cui presidenza pro tempore spetterebbe agli stati membri in ordine alfabetico.
Dopo Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay sarebbe dunque la volta del Venezuela, se non fosse che i presidenti di Brasile e Paraguay, Temer e Cartes, hanno deciso di mettersi di traverso adducendo motivazioni quantomeno contraddittorie e paradossali, soprattutto se pensiamo che al Planalto siede un golpista e che ad Asunción governa un uomo abile ad approfittare del colpo di stato che, nel 2012, destituì Lugo riportando in sella i colorados e permettendo allo stesso Cartes di giungere alla presidenza dopo l’interregno dittatoriale di Federico Franco.Non si tratta proprio di dettagli, ma il Corriere della Sera, che pende dalle labbra di Globo, il principale quotidiano sostenitore della dittatura militare che si installò al potere in Brasile nel 1964, non ne parla, al pari della concorrente Repubblica. Ufficialmente, il Venezuela non può accedere alla presidenza del Mercosur perché non ha adempiuto a determinate clausole, ma gli altri paesi membri non sono da meno. In realtà, dalla parte brasiliana si osteggia il Venezuela perché l’ordine di Temer è quello di cancellare tutte le politiche di Lula e Dilma e allora cosa c’è di meglio che indebolire il Mercosur, su cui i precedenti presidenti avevano scommesso, per far posto ad accordi filo-Usa, e per giunta per mezzo dell’attuale ministro degli Esteri José Serra, sconfitto proprio da Lula in una competizione presidenziale?
Tuttavia, poiché non c’è limite al peggio, le motivazioni del Paraguay e del suo ministro degli Esteri Eladio Loizaga per bloccare la presidenza venezuelana del Mercosur sono ancora più fantasiose: Maduro sarebbe responsabile di non rispettare la clausola del Mercosur dedicata al rispetto dei diritti umani. Ora, è abbastanza singolare che l’accusa provenga da un uomo come Loizaga, il cui nome figura più volte tra i responsabili di reali e provate violazioni dei diritti umani all’epoca della dittatura stronista, di cui era un esponente di spicco. Anche in questo caso, è evidente a tutti che l’intento principale risulta essere la destabilizzazione del Venezuela in chiave regionale, oltre all’indebolimento del Mercosur, non a caso Loizaga se la prende anche con un altro paese membro del Mercosur, l’Uruguay, perché a Montevideo governa la moderata coalizione di centrosinistra del Frente Amplio, per il ministro degli Esteri comunque troppo pendente verso Caracas. Eppure basta dare uno sguardo alla carriera di Eladio Loizaga per inquadrarlo e capire di che personaggio si tratta. Militante dei colorados e nominato primo segretario dell’ambasciata paraguayana a Washington, si adoperò per far stringere stretti legami tra Stroessner e gli Stati Uniti. Nel 1979 è sottosegretario di stato, ma soprattutto è il gran cerimoniere del 12° congresso della Lega anticomunista mondiale, che si svolge ad Asunción l’8 marzo 1979. È in quell’occasione che viene approvato il cosiddetto Plan Banzer, una variante del Plan Cóndor che porta il nome del dittatore boliviano per sterminare i cattolici di sinistra legati alla Teologia della Liberazione. Sempre in occasione di quel congresso, all’insegna del reclutamento di paramilitari e nazifascisti di ogni risma, dagli Archivi del terrore scoperti nel 1992 dal giudice paraguayano José Fernández, emerge il nome di Loizaga tra i principali esponenti della Lega anticomunista mondiale. Inoltre Fernando Lugo, pochi mesi prima del colpo di stato che lo avrebbe destituito, rese pubblica una lista di beneficiari della dittatura stronista tra cui figurava l’ineffabile Loizaga, a cui erano state concessi enormi appezzamenti di terreno che avrebbero dovuto essere destinati ai campesinos nell’ambito della mai applicata riforma agraria.
Come si fa a prendere per buone le dichiarazioni di Loizaga a proposito dei presunti diritti umani violati in Venezuela e a non mettere in rilievo il suo ruolo di repressore all’epoca del Plan Cóndor e quello di ministro degli Esteri del presidente Cartes, il quale, implicitamente, ha ammesso il colpo di stato del 2012 quando, nel tentativo di autoassolversi, ha dichiarato di non essere stato presente al momento del golpe?
Come è possibile legittimare il no alla presidenza venezuelana del Mercosur e non dire una parola sui licenziamenti dei funzionari del ministero della Cultura brasiliano e sullo smantellamento della Cinemateca nell’ambito di un violento attacco, questo si, antidemocratico, al mondo della cultura, dove si trova uno dei maggiori nuclei di resistenza al golpe di Temer grazie al lavoro di denuncia di artisti e intellettuali? E ancora: silenzio totale sulla persecuzione politica contro i docenti universitari brasiliani e la campagna del latifondo mediatico per trasformare le università pubbliche in private e a pagamento.
Già, ma tutto questo su Globo, Folha e altri quotidiani che sostengono l’impeachment non appare e quindi i nostri quotidiani, che vanno a pescare proprio lì, non trovano niente del genere e finiscono per dare informazioni fuorvianti che lettori non necessariamente a conoscenza delle dinamiche latinoamericane finiscono per considerare come buone e così la campagna di destabilizzazione e disinformazione, anche qui da noi, è servita.
(*) tratto da Peacelink – 3 agosto 2016