«Viene il cervo al mio canto»
Poeti nativi americani: monologo poetico drammatico tracciato da Sarina Aletta
BREVE NOTA INTRODUTTIVA
Negli ultimi due giorni in “bottega” c’erano due post sui «pellerossa» (*) e, se passate spesso di qui, altri ne incrociate e ne incrocerete. Il che vuol dire che se qualcuna/o vuole inviare sul tema segnalazioni, reportage, riflessioni… è bene accolta/o. Visto che Sarina Aletta (**) si è molto impegnata anche per Leonard Peltier, segnalo questo suo “vecchio” – ma sempre attuale – spettacolo o, come preferisce chiamarlo lei, «itinerario di controinformazione poetico». (db)
“VIENE IL CERVO AL MIO CANTO”
MONOLOGO POETICO DRAMMATIZZATO
POETI NATIVI AMERICANI
TRA SUONO PAROLA E IMMAGINE
Prigionieri di artifici letterari, inaccessibili ai non “addetti ai lavori”,
siamo conquistati dalla “magia” dei
“CANTI DEGLI INDIANI D’AMERICA”
come dalla voce poetica di molti popoli
che vivendo ancora a contatto con la Natura
conservano capacità di sintesi per noi irrimediabilmente perdute:
essenzialità e immediatezza che faticosamente rincorriamo
immaginando di poter “conquistare letterariamente” la Poesia.
Soprattutto colpisce in questi “canti” il respiro universale che,
indipendentemente dalle distanze di tempo e di luogo,
rivela un’unica mente e un unico cuore.
Nella trentennale ricerca attorno alle
“POTENZIALI DRAMMATICHE NELLA POESIA”
non è stato mai difficile assemblare in un solo “affresco”:
autori, latitudini e periodi diversi,
rafforzandosi in me la convinzione che,
oltre apparenze formali,
le necessità primarie, il pensiero e i sentimenti d’ogni creatura
possano naturalmente armonizzarsi.
Sarina Aletta
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ESIGENZE TECNICHE:
* Lo spettacolo è realizzabile in teatri tradizionali, su palchi all’aperto e in vari spazi scenici come in sale di piccole dimensioni. Le musiche possono essere registrate o eseguite dal vivo.
- Impianto luci, amplificazione e schermo per proiezione video.
Contatti: tel. 328.90.32.491 – sarinaletta@libero.it
(*) Io uso spesso la parola «pellerossa», alternandola a «nativi americani» o «amerindi». Per questo però mi capita di essere rimproverato, Anche ieri un’amica di «Soconas Incomindios» – se non sapete cos’è, guardate qui: Soconas Incomindios – comitato di solidarietà con i popoli nativi … – mi ha scritto così: «Non usare pellerossa, scegli tra indiani, nativi americani, autoctoni americani, indigeni americani, Prime nazioni». Un buon uso delle parole è indispensabile e infatti qui in “bottega” preferiamo usare il linguaggio “sessuato” invece del maschile onnicomprensivo. Però la questione non è semplice: per me, a esempio, il termine «negro» ha un valore storico offensivo, e non solo per le navi negriere, ma c’è chi tra gli afroamericani lo rivendica con orgoglio o con volontà polemica. Giusto una settimana fa, qui in “bottega” c’era un eccellente racconto di Raymond Carver – Una piccola, buona cosa – ripreso dal suo «Cattedrale». A introdurlo una foto dell’autore con questa sua bella frase: «Le parole sono tutto ciò che abbiamo, perciò è meglio siano quelle giuste». Sottoscrivo. Però poi, se leggete il racconto – e ve lo consiglio assai – troverete la parola «negri». Non so dire se Carver la usi abitualmente o se qui abbia voluto marcare un “dispositivo linguistico”, cioè immedesimandosi nei protagonisti, oppure se sia una scelta del traduttore Francesco Franconeri. In ogni caso la questione resta aperta e complessa… Dunque sono graditi i vostri interventi. magari per farne prima o poi un apposito post, sapete del tipo «Istruzioni per l’uso e perplessità residue»…. (db)
(**) Sarina Aletta è spesso in “bottega”. Da molti anni lavora nel campo dello spettacolo come attrice-cantante, regista, autrice, critico e insegnante di Arte Scenica; non bastasse… scrive di arte figurativa e nell’ambito dell’indagine sociale.