Vik – un grido d’amore per Gaza
Chantal Meloni:
Ho aspettato un po’ prima di decidermi a scrivere, preferivo lasciare che le emozioni si depositassero sul fondo. In un momento in cui tutti parlavano, tutti sapevano, tutti avevano fretta di dire la loro, io mi sentivo come se una bomba fosse esplosa vicina, troppo vicina a me.
L’effetto dirompente della morte di Vittorio Arrigoni per chi come me ha vissuto abbastanza a lungo Gaza da assaporarne l’essenza (amara eppure dolcissima), e lì ha incontrato e conosciuto Vik personalmente, continua a farsi sentire. Ad un mese di distanza l’onda d’urto è ancora enorme.
Nei giorni seguenti alla notizia avevo un bisogno matto di capire, di avvicinarmi lì, di parlare con le persone, guardarle negli occhi. Iniziavo a vacillare, mettendo in discussione il miostesso vissuto. Così ho preso e sono partita per Gaza, senza neanche poterlo dire alla mia famiglia, ai miei migliori amici. Pochi intensissimi giorni in quel luogo così unico – impossibile farlo capire a chi non ne abbia varcato le soglie – per dare un segnale subito, forse, per affrontare le mie paure, sicuramente anche.
Certo, l’immagine di Gaza dopo questo brutale gesto sembrava essere affatto coincidente con quella dei miei racconti dello scorso anno: un posto dove perfino il mare è scassato, eppure accogliente. Un posto gentile. Una Gaza-casa dove la vita poteva scorrere tra la gente, senza particolari barriere, senza sentirsi estranei. Mai nel corso dei miei mesi gazawi ho sentito ostilità o avuto problemi, ad esempio perché vestivo all’occidentale. Certo ho cercato di avere sempre rispetto degli usi locali. Ma non mi sono mai coperta, non ho preso particolari misure di sicurezza e, a dirla tutta, a volte ho anche forzato un po’la mano, ad esempio quando insieme ad altri tre amici, tra cui una palestinese, ci siamo fatti l’intero lungomare della Striscia in bicicletta in un sabato d’estate. Una provocazione? Sì forse, dato che alle donne non è concesso pedalare. Ma lo spirito con cui lo abbiamo fatto era leggero; eralo spirito di chi vuole mostrare che ci si può riappropriare e godere delle piccole cose belle della vita anche in un posto come Gaza, dove alla devastazione e all’isolamento imposto dall’occupazione militare si aggiunge la pesantezza di un governo che strizza l’occhio all’islam integralista (pur senza troppa convinzione per fortuna).
E comunque il timore semmai arrivava dal cielo o da ‘al di là del muro’ – insomma sempre dall’al di là – da un imprevedibile esercito israeliano da cui non sapevamo mai cosa aspettarci. Le (rare a dire il vero) chiacchierate con gli amici a tarda sera sulla spiaggia in estate invece non ci facevano paura. Tutto sbagliato? False percezioni in un posto in realtà ostile? Oltre al dolore grandissimo e personale per la morte di una persona cara, l’omicidio di Vik spacca per le domande che ha aperto in ciascuno di noi e che per ora non trovano risposta.
Vik. Chi era Vittorio Arrigoni? Quasi mi verrebbe da tacere, da evitare –per rispetto nei suoi confronti – di aggiungere la mia voce al coro di tutti quelli che in questi giorni lo hanno voluto variamente definire, inquadrare. “Vik non era un eroe” ha con commozione e lucidità ricordato la sua mamma. E’ lei che meglio di chiunque altro ha detto con semplicità che suo figlio era solo un ragazzo normale che “con una vita un po’ speciale” ha voluto portare attenzione ad un popolo oppresso e ricordare che i diritti umani sono universali. Era un sognatore, certo, Vittorio Utopia Arrigoni, era uno che non mediava, che non accettava, che non era indifferente, era uno che si indignava.
Ma certamente Vik non era quello descritto in un – mi si consenta – poco attinente quadro firmato a caldo il giorno stesso della sua morte, ossia uno dei tanti attivisti che non sapendo come meglio impegnare le vacanze si riversano in Palestina e che si ritrovano la sera a fumare il narghile nel deliziosopatio del Jerusalem hotel…
Vik era a Gaza per un motivo ben preciso. Dare voce a chi non ha voce. Mostrare la realtà, non mediata, di un angolo di mondo difficile da raggiungere, dove le notizie escono con il contagocce e troppo spesso manipolate. Dove oltre un milione e mezzo di persone vive da troppi anni in una condizione per noi inimmaginabile, per colpa di dinamiche politiche che pesano sopra le loro teste a prescindere dalla loro volontà. Un privilegio acquisito per nascita, senza possibilità di scelta: palestinese di Gaza=terrorista. Gaza dichiarata “entità nemica” e per questo la sua gente collettivamente punita. Chi di noi accetterebbe questa situazione? Chi di noi accetterebbe di essere privato della più basilare dignità? Ognuno di noi può rispondere dentro di sé, quel che è certo è che Vik non lo accettava, e aveva scelto il suo modo per dissociarsi. Il suo personalissimo modo, che magari non è ilvostro e magari neanche il mio. Ma era un modo onesto e coraggioso.
Quel che Vik faceva non era animato dall’odio; al contrario, lo muoveva un amore, un senso di fratellanza con gli altri, con i più deboli, quelli che lui aveva incontrato lungo il suo cammino, nel suo percorso. Vik si era affratellato con la gente di Gaza, con i suoi pescatori, con i contadini, con i bambini, con i tanti giovani che appoggiava nella loro aspirazione di libertà, libertà dall’occupazione e anche dalle storture e violenze delle autorità palestinesi (nei cui confronti, ricordiamolo, aveva espresso molte critiche,specie negli ultimi tempi).
Basta riguardare il video su you tube che lo mostra mentre deposita un fiore sulla tomba di un soldato ebreo ucciso a Gaza nel corso della prima guerra mondiale per sapere che Vik non odiava gli ebrei. Non era contro Israele o gli israeliani,Vikera contro, fortemente contro, le politiche di Israele nei territori palestinesi occupati. La sua denuncia era chiara, e scomoda per molte orecchie.
Vik si era fatto presenza a Gaza. Non uno scudo umano, definizione che lui per primo rifiutava, ma testimone, compagno. Sulle barche dei pescatori sotto attacco nel loro stesso mare, con i contadini che cercano di raccogliere i loro frutti nei campi ormai resi inaccessibili. Si può pensare che questo suo fare fosse perfino ingenuo; del resto lui stesso lo diceva, le ambulanze palestinesi venivano attaccate durante le tre settimane di “Piombo Fuso” che ci fosse o meno la presenza di internazionali a bordo. La Croce Rossa questo lo sa bene. Eppure gli infermieri, i medici di Gaza gli dicevano di apprezzare la loro presenza, e questo per lui era bastato per decidere- a differenza di pressoché tutti gli altri “internazionali” – di non uscire da Gaza durante quelle tre infernali settimane.
Per lui partire in quel momento, mettersi giustamente al riparo, sarebbe stato un tradimento nei confronti delle persone a cui voleva bene e che quella possibilitàdi riparo,letteralmente quella via di uscita (da Gaza), non l’avevano. Sto solo cercando di farvi vedere attraverso i suoi occhi. Come noi non abbandoneremmo una personacara malata, lui non poteva concepire di abbandonare i suoi fratelli Gazawi. Loro non potevano uscire dalla gabbia? Ebbene non sarebbe uscito neanche lui, non voleva fare sentire quella povera gente ancora più abbandonata.
Non era un atto politico il suo. Era un atto umano. Einfatti da quella esperienza così devastante,intensamente dolorosa, è uscito un libro meraviglioso. Lo consiglio a tutti coloro che stanno parlando di Vittorio in questi giorni, purtroppo spesso a sproposito. Smettete di parlare e leggete. Nella sua semplice, cruda eppur poetica narrazione Vik riesce a comunicare più umanità e a convogliare un messaggio molto più alto di quello che i suoi critici oggi stanno cercando di mettergli in bocca.
E quindi, torniamo al messaggio di Vittorio Arrigoni, ricordiamoci il motivo per cui lui aveva scelto di rimanere a Gaza da così tanto tempo,primadi speculare su chi e perché lo abbia ucciso.
Tanti dubbi e poche certezze in proposito. Non aiuta certamente il reticente silenzio delle autorità di Gaza sul corso delle indagini. Al momento non sono stati resi noti i contenuti degli interrogatori dei tre presunti rapitori e assassini di Vik che sotto arresto. Gli altri due sono morti, uccisi, pare, suicidatisi, forse, in una dinamica dell’operazione compiuta da Hamas ancora tutta da verificare. Purtroppo uno dei due morti era proprio quel AbdelRahmanBreizat, “il giordano”, considerato come la mente del rapimento di Vik, e sulla cui vera identità e ruolo si addensano nuvole nere. Cosa ci faceva a Gaza questo giovane studente di ingegneria giordano (22 anni),entrato a Gaza a quanto pare con un convoglio umanitario dall’Egitto nel 2009, poi fatto uscire e rientrato poco dopo presumibilmente attraverso uno dei tunnel?
Non lo sappiamo per ora, e forse non lo sapremo mai, ma non scandalizza che in un contesto come quello di Gaza non si escluda alcuna possibilità,compreso il coinvolgimento dei servizi segreti. Molte cose non tornano in questo delitto. Forse invece l’omicidio di Vik è più semplicemente ascrivibile ad un atto di crudele follia di uno sparuto (5 in tutto, senza alcuna affiliazione con i ‘veri’ salafiti, questo è ormai certo) gruppo di giovani estremisti che hanno compiuto un gesto più grande loro. Può ben essere che sia andata così, una cosa interna,forse anche sfuggita di mano.
Chiunque sia stato, e qualunque cosavi sia dietro, quello che ho trovato a Gaza dopo l’omicidio di Vittorio è una reazione di condanna compatta, unanime, senza la minima incrinatura, potente. Dal sud di Rafah (la zona più conservatrice), al centro di Gaza city non vi è un palestinese che non si sia stracciato le vesti per questo omicidio. La gente di Gaza, ed in particolare i giovani,hanno organizzato (e stanno ancora organizzando) incessanti manifestazioni e celebrazioni per gridare il loro dolore e il loro affetto per Vittorio, considerato in tutto e per tutto uno di loro. Ero lì mentre si celebrava il funerale di Vik: a Bulciago, e in parallelo a Gaza e a Ramallah. Mi dispiaccio che il collegamento con l’Italia non abbia funzionato bene e che le migliaia di persone lì riunite non abbiano potuto vedere lo spettacolo bellissimo e commovente che hanno dedicato a Vik a Gaza, tra poesie, canti, danze e un calore umano indescrivibile (ma spero che presto la registrazione fatta da Al Jazeera sia disponibile).
Qualunque sia la verità dietro alla morte di Vittorio, non facciamoci distogliere dal portare avanti il messaggio che lui veicolava: ciascuno di noi a suo modo, con i suoi strumenti, e nel suo ambito, restiamo umani.
Chantal Meloni
Berlino, 6 maggio 2011.
per informazioni e invio testi:
clelia pierangela pieri – xdonnaselva@yahoo.it
luigi di costanzo – onig1@libero.it
Grazie Chantal, un bel regalo questo tuo.
Che forza sia.
clelia
davvero grazie chantal il ricordo di vik non si affievolirà mai.
Parole bellissime, che lasciano un nodo in gola per una morte incomprensibile e davvero odiosa.
Restano solo le sue parole, per aiutarci a superare il senso di smarrimento che ci pervade, ogni volta che il pensiero corre a lui, ai suoi bambini palestinesi, a quanti lo hanno amato ed apprezzato: restiamo umani.