«Vite corte»
La storia e l’identità delle gang giovanili in America centrale ricostruita e analizzata nel libro dell’antropologo Vittorio Rinaldi
di David Lifodi
Vite corte è un bel libro dell’antropologo Vittorio Rinaldi, frutto di un accurato lavoro di ricerca che racconta la nascita, l’evoluzione e il progressivo dilagare delle gang giovanili tra l’America centrale e gli Stati Uniti.
Mara Salvatrucha 13 e Barrio 18 rappresentano tuttora le bande maggiormente strutturate sia nel triangolo nord centroamericano (Honduras, Guatemala, El Salvador) sia nei vicini Stati Uniti, ma le loro propaggini sono arrivate anche qui da noi, in particolare a Milano.
Vittorio Rinaldi ripercorre la storia delle gang a partire da antefatti lontanissimi, le sorti dello stato del Texas, ufficialmente sotto la giurisdizione della Repubblica messicana, nata pochi decenni prima a seguito dei moti indipendentisti dalla Spagna, ma dove, nel 1830 vivevano già oltre 200.000 coloni di lingua inglese che giocarono un ruolo di primo piano nel chiedere una formale richiesta di annessione agli Usa.
A seguito del trattato di Guadalupe Hidalgo – che sancì definitivamente il passaggio non solo del Texas, ma anche di Nevada, Utah, California, Nevada, parti di Colorado, Arizona e Wyoming dal Messico agli Stati Uniti – molti hacendados ispanici scelsero di diventare cittadini Usa, ma ben presto compresero di trovarsi in uno stato dove non erano né amati né benvoluti. Soprattutto nelle zone transfrontaliere, ma non solo, gli ispanici si trovarono stranieri in casa propria, marginalizzati e ghettizzati, a partire dagli anni della scuola, dove i giovani avevano difficoltà nell’apprendere la lingua inglese e, per questo motivo, finirono sempre di più per vivere in quartieri periferici dove erano confinate le loro famiglie.
A partire dalle prime forme di banditismo sociale nelle comunità messicane della California, e attraverso l’importazione avvenuta nei primi anni Novanta del Novecento da Los Angeles, nell’ambito di una forte rivalità tra i cosiddetti mex-americani e i giovanissimi emigranti provenienti dall’istmo centroamericano, la maras si sono sempre maggiormente diffuse in un contesto sociale già caratterizzato da una forte repressione, quella dei regimi militari che in Guatemala, Honduras ed El Salvador volevano mettere a tacere qualsiasi forma di opposizione per evitare che il “contagio” cubano e sandinista raggiungesse anche i loro Paesi.
Analizzando le dinamiche e la genesi della gang, scrive Rinaldi, «il fenomeno apparso inizialmente in un habitat culturale e linguistico ben definito – quello dei messicani insediati in California, abbia fortemente risentito delle dinamiche globali che lo hanno forgiato, finendo con il generare una sub-cultura giovanile in grado di travalicare i confini della California e degli Stati uniti per espandersi a livello internazionale».
La deportazione di decine migliaia di detenuti latinos dagli Stati uniti, e in particolare da Los Angeles – dove erano nate Mara Salvatrucha 13 e Barrio 18, resesi protagoniste di episodi di violenza sempre più cruenti – verso il Centroamerica, ha fatto sì che le dinamiche di mareros e pandilleros si duplicassero all’ennesima potenza in territori già intrisi della violenza di Stato contro i movimenti guerriglieri e le comunità maya e contadine che per anni erano state costrette a vivere sotto il pugno di ferro di dittature sanguinarie.
I governi formalmente democratici sorti in paesi come Guatemala ed El Salvador a seguito di ambigui accordi di pace con le organizzazioni rivoluzionarie, senza contemplare alcun reinserimento sociale né per i guerriglieri né per i paramilitari che integravano gli squadroni della morte spesso foraggiati dagli stessi Stati, scatenarono un’operazione di limpieza social che non ebbe l’effetto di far sparire le maras, anzi, ma creò ulteriori occasioni di violenza in paesi poverissimi da cui, oggi, in fuga da persecuzioni di ogni tipo (criminalità comune, affiliazione obbligatoria alle bande e repressione degli attori istituzionali), in molti hanno scelto di fuggire mettendo a repentaglio la propria vita pur di raggiungere il sogno americano e lasciarsi dietro le spalle un presente pieno di miseria e sopraffazioni di ogni tipo.
Partendo dall’assunto che, sia per i mex-americani sia per gli ispanici di origine centroamericana, la gang rappresentava un recinto protettivo in un contesto di abbandono ed esclusione sociale in una situazione tendenzialmente ostile, aderire alla Mara Salvatrucha o alla Barrio 18 significava abbracciare uno stile di vita da cui uscirne è tuttora molto difficile. Dall’iniziazione, che comprende una sessione di botte a cui l’iniziato deve essere in grado di far fronte, all’ingresso ufficiale nella gang, caratterizzato da un attacco che ferisca o uccida un esponente della banda rivale, fino al giuramento che la lealtà, il rispetto e la dedizione verso la pandilla, il coinvolgimento all’interno del gruppo per i suoi partecipanti deve essere totalizzante e assoluto.
Attraverso un’analisi dedicata a studiare e a comprendere la cultura della violenza delle maras, dai loro comportamenti ai riti d’ingresso, fino ai significati dei tatuaggi (tra i più celebri quello dei tre punti indicanti il destino dell’ospedale, del carcere o della morte) e all’influenza che esercitano i mareros anche all’interno dei penitenziari, dove gli Stati li avevano confinati senza pensare che anche i detenuti comuni sarebbero stati pian piano permeati dai loro ideali in condizioni spesso all’insegna del sovraffollamento, Vittorio Rinaldi tratteggia un quadro puntuale dei pandilleros, delle loro forme di cittadinanza ribelle e delle modalità di aggregazione ricordando che, per comprendere la tragedia delle maras odierne non si può non prendere in considerazione l’evolversi di almeno un secolo di storia in America centrale e negli Stati uniti.
Vite corte – Storie e identità delle gang giovanili in America centrale
di Vittorio Rinaldi
I libri di Emil, 2020
Pagg. 258, € 19
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