Walid Daqqa, colui che visse e morì libero

Walid Daqqa è morto il 7 aprile 2024 nelle carceri israeliane, dove ha trascorso 38 anni. Arrestato nel 1986 per il suo presunto coinvolgimento nel sequestro e nell’uccisione di un soldato israeliano e per la sua appartenenza al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, è stato tra i più importanti intellettuali palestinesi prigionieri politici di Israele.

di Sabah Jalloul (*)

È nel carcere di Gilboa [in Israele] che Walid Daqqa incontrò Fida’ al-Shaer. Quest’ultimo, un musicista costretto a vivere dietro le sbarre senza il suo amato strumento, era avvilito dal rifiuto del tribunale di occupazione di introdurre un Oud in prigione.
Lo costruiamo noi!”, gli disse il suo compagno di cella Walid Daqqa, che subito si mise all’opera per portare a termine la sua missione: corde fatte passare di nascosto nei pantaloni, pezzi di scope e sedie di legno per il corpo dello strumento, viti riutilizzate, più l’ostinazione e l’ingegno dei detenuti ed ecco creato un Oud. Naturalmente fu confiscato dalle guardie non appena fu scoperto, ma per un po’ ci furono canti, musica e una nuova valvola di sfogo all’interno delle celle. Tutto questo perché un detenuto disse “Lo costruiamo noi!”.
Quel detenuto si chiamava Walid Daqqa.

Lo scrittore Abdul Rahim al-Shaikh, in un articolo per la rivista Al-Adab, scrive che Walid Daqqa è “famoso per i diversi mezzi adoperati per far sentire la propria voce e quella dei detenuti palestinesi”. Si pensi per esempio allo spettacolo musicale scritto in carcere, intitolato Storia dei dimenticati in un tempo parallelo. “Il tempo parallelo è un concetto fondamentale per Walid Daqqa – dice Abdul Rahim al-Shaikh – che descrive la dimensione filosofica in cui vivono i detenuti palestinesi nelle carceri sioniste” in contrapposizione al “tempo sociale di chi vive fuori dal carcere”.

Adesso, mentre piangiamo il martire detenuto ucciso a causa di una negligenza medica deliberata nel carcere sionista, appare chiaro che quel tempo parallelo di cui ha scritto fosse una filosofia che egli praticava nei fatti, non solo in teoria.
“Una vita parallela” a tutti gli effetti, che ha mandato fuori di testa i suoi secondini.
Ebbene sì, Walid Daqqa è vissuto nonostante le restrizioni, nonostante le guardie, nonostante la cella del carcere, nonostante lo stato di occupazione, nonostante un mondo impazzito, nonostante la malattia, nonostante la vita, di cui due terzi (ben 38 anni) passati dietro le sbarre, gli sia stata negata.
Una vita in carcere durante la quale si è laureato, ha amato e si è sposato, è diventato padre di una bella bambina, concepita con sua moglie – l’attivista per i diritti umani e traduttrice Sana Salameh – dopo aver trafugato il proprio sperma; ha scritto poesia e prosa, libri sulla detenzione e sulla lotta, lettere, ha costruito un Oud, realizzato una pièce teatrale, inventato una storia… tutto questo in un “tempo parallelo”.

La storia di Walid Daqqa sembra quasi il frutto di una fervida immaginazione che vede il detenuto come un supereroe che nessun mostro sulla Terra può sconfiggere.
Eppure, chiunque conosca il suo percorso di lotta, le varie fasi della sua prigionia e il suo supplizio, sa che non era invincibile. Soffriva di una rara forma di tumore al midollo osseo, che però non ha impedito alle forze di occupazione né di continuare a tenerlo in carcere negandogli le cure necessarie (è a lui che il detenuto Zakaria al-Zubaidi si era offerto di donare il midollo osseo), né di prolungarne la detenzione, nonostante la fine della sua pena circa un anno fa (il 23 marzo 2023) e pur conoscendo la gravità della sua situazione, fino al decesso, di fatto uccidendolo per negligenza il 7 aprile 2024.

Tutto ciò che l’occupante ha fatto a Walid Daqqa è stato in rappresaglia al suo amore per la vita e alla sua capacità di vivere nonostante tutto.
Come un mostro che abbia inghiottito gran parte della sua esistenza ma a cui sia rimasta una spina nella gola.
Difatti, come può l’occupante comprendere che un uomo detenuto in condizioni estremamente difficili sposi una donna libera, che i due si amino in un matrimonio strappato alla prigione? Come può comprendere che il sogno di un prigioniero sia tale da spingerlo a trafugare il proprio sperma per fondare, con sua moglie, una famiglia in una sorta di nuova “natività”1.
Come, come…? È questo un eterno messaggio di speranza.

Dagli scritti di Walid Daqqa

La scrittura è il tunnel che scavo sotto questi muri per restare connesso alla vita, alla vita della gente e alle preoccupazioni del nostro popolo e della nostra nazione araba, ma questo non significa che la scrittura mi separa da quella che è la mia realtà in carcere.

Smettere di provare shock e sgomento, smettere di provare la tristezza delle persone, qualunque persona, e diventare insensibili davanti alle scene di atrocità, qualunque atrocità… è questa la mia ossessione quotidiana, il criterio per misurare la mia resilienza e la mia forza.
Essere sensibili verso le persone e il dolore dell’umanità è l’essenza della civiltà, l’essenza dell’essere umano dotato di senno è la volontà, la sua essenza fisica è il lavoro, la sua essenza spirituale la sensibilità: perciò, essere sensibili verso le persone e il dolore dell’umanità costituisce l’essenza della civiltà umana.
È proprio questa essenza a essere presa di mira nella vita dei prigionieri col passare delle ore, dei giorni e degli anni. Non vieni preso di mira in quanto essere politico, in primo luogo, né in quanto essere religioso o consumatore al quale sono negati i piaceri materiali della vita. Puoi abbracciare qualunque convinzione politica, praticare qualunque rito religioso, consumare qualunque bene: a essere preso di mira sarà in primo luogo l’essere sociale e la persona che è in te. (dal libro Fusione di coscienza)

La nostra storia non è finita. Tutte le storie hanno un inizio e una fine, tranne la nostra, di cui non abbiamo ancora scritto la fine. Quando un intero paese si trasforma in una prigione e la gente si limita a guardare, noi rischiamo di diventare una camera delle meraviglie, uno spettacolo che si ripete, mentre gli spettatori diventano delle celle ambulanti pur credendosi liberi. State attenti a non diventare delle celle ambulanti. (dalla pièce Storia dei dimenticati in un tempo parallelo)

(Le traduzioni dei testi e dei titoli sono a cura della redazione di OrientXXI).
L’unico libro di Walid Daqqa tradotto e pubblicato in Italia è il romanzo per ragazzi, La storia del segreto dell’olio edito Atmosphere libri nel 2020.

(*) Tratto da OrientXXI. Sabah Jalloul è un giornalista e regista libanese. Scrive dal 2014 per diversi giornali libanesi e media arabi online e collabora su base regolare con Assafir al-Arabi.

La repressione e la tortura [in carcere] sono diventate complesse e moderne, procedendo in tandem con il discorso sui diritti umani, dove quest’ultimo ora richiede uno sforzo concertato per dimostrare violazioni che saranno con ogni probabilità presentate dalla magistratura o dai media israeliani come eccezioni al dominio del rispetto dei diritti umani e dei diritti dei prigionieri … La repressione è una raccolta di centinaia di misure piccole e individuali, di migliaia di dettagli che non possono essere da soli essere la prova di essere strumenti di tortura. È proprio lo stesso dello sfruttamento dell’economia del libero mercato alla luce della globalizzazione, che si pubblicizza come necessario ai fini della crescita economica. La repressione diventa come lo sfruttamento – senza un volto, un indirizzo o un paese di origine che puoi assegnare al tuo sfruttatore” (Walid Daqqa, Searing Consciousness. Or on Redefining Torture).

Nota, da Wikipedia:

Nel 2021, a Daqqa è stata diagnosticata una rara forma di cancro alle ossa, la mielofibrosi, che interrompe la produzione di cellule del sangue. Gli attivisti palestinesi per i diritti umani hanno accusato Israele di negligenza medica, peggiorando le sue condizioni.
Doveva essere rilasciato nel marzo 2023 al termine della sua condanna, ma aveva già ricevuto altri due anni di carcere nel 2018 per il contrabbando di telefoni cellulari da distribuire ad altri prigionieri per contattare le loro famiglie.
Amnesty International ha riferito che l’avvocato di Daqqa che lo aveva visitato il 24 marzo 2024 è stato “scioccato dalla sua forte perdita di peso e dalla fragilità visibile”, e di conseguenza, ha detto che negare ai prigionieri l’accesso alle cure mediche potrebbe costituire una tortura.
Daqqa è morto per complicazioni del cancro il 7 aprile 2024, all’età di 62 anni, dopo 38 anni di carcere. La sua famiglia non è stata informata della sua morte dalle autorità israeliane e ha appreso solo della sua morte attraverso i social media.
Il giorno dopo, il penultimo del Ramadan, con le autorità che ignoravano le richieste di rilascio del suo corpo, le sedie erano state sistemate nel giardino per i visitatori che portavano le condoglianze. La polizia di frontiera ha fatto irruzione nel giardino e ha ordinato di portare via i sedili. Secondo Gideon Levy, sedersi e lutto erano proibiti.
Nel tardo pomeriggio, mentre la consueta tenda di lutto veniva eretta, ebbe luogo un ulteriore raid della polizia: le persone in lutto furono picchiate, spinte da parte, con cinque arrestati e la tenda di lutto fu poi abbattuta.

***

alexik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *