Walter Catalano: rivoluzioni galattiche, fantascienza e politica
1 Il futuro spetta a chi, pur senza amarlo, saprà creare disordine, poiché è da esso che sorgerà un ordine nuovo(Guy Debord)
Non c’è persona più noiosa e infantile di chi legga solo fantascienza ma non c’è persona più interessante e mentalmente aperta di chi legga anche fantascienza.
Nel vasto dominio della narrativa di genere infatti, anche se in modo forse meno eclatante e ostentato del noir, il dominio fantascientifico – ben lungi da limitarsi a svolgere la presunta funzione paraletteraria principale: l’intrattenimento escapista – è quello più incline a lasciarsi andare a riflessioni ideologicamente scabrose e a prendere posizioni decise anche in campo politico.
Letteratura di idee, la fantascienza fin dal suo nascere, popolarizza e divulga, insieme all’immaginario scientifico, le visioni, i sogni e gli incubi scaturiti dalla speculazione filosofica e politica. Utopia gli è sorella maggiore ma il gusto “gotico e post-gotico” – come nota lo scrittore e critico britannico Brian Aldiss, in una delle più azzeccate definizioni che siano state tentate – è la fucina in cui essa forgia le sue armi più appuntite. Il suo emblema potrebbe essere il busto di Pallade Atena – dea della ragione – su cui il corvo, simbolo dell’irrazionale, si va ad appollaiare (come nella poesia di Poe – rivelazione profetica in cui è contenuta l’essenza di tutta la letteratura moderna) e il suo primo eroe è probabilmente Frankenstein, il Prometeo moderno, e più ancora la sua creatura ribelle, discendente non tanto del docile golem quanto del Satana miltoniano, cantato dai poeti maledetti del decadentismo e del simbolismo.
Se il noir dunque ha i suoi Manchette e i suoi Daeninckx, se l’equilibrio sconvolto non torna mai, come nel poliziesco tradizionale, all’ordine borghese ma smaschera la dimensione assiologica del crimine nel contesto della società capitalistica, così anche la fantascienza ha i sui Ballard e i suoi Dick: il robot – l’operaio – si rivolta comunque, ad onta delle rassicuranti leggi asimoviane, e verità e menzogna, naturale e artificiale, spazio esterno ed interno, si confondono e si invertono irrimediabilmente denunciando la natura caotica e abissale della realtà; per dirla nel modo febbrile e sovrabbondante di H.P. Lovecraft, mostrandoci sullo sfondo il non-volto del “dio cieco e idiota che sbava e gorgoglia nel centro dell’infinito”.
Utopie, distopie, ucronie: la fantascienza, affabulando derive cosmologiche e mitologiche, scompiglia le leggi dello spazio e del tempo, decostruisce discipline come la storia, la sociologia e la psicologia, e mette in discussione i principi della logica aristotelica, della geometria euclidea e della fisica newtoniana. Anche il caos non è che un’altra forma di ordine come il cosmo non è che un’altra enunciazione del caos.
E’ proprio questo l’insegnamento più fertile della migliore fantascienza, la sua essenza perturbante si tramuta in ultimo in un’estrema rassicurazione: l’ordine è sempre revocabile; esiste sempre la possibilità di un ordine alternativo.
Non c’è niente di più rivoluzionario.
2 Espanolitoque vienes al mundo, te guarde Dios; una del las dos Espanas ha de helarte el corazòn (Antonio Machado)
La profonda ambiguità della fantascienza in campo politico si era già mostrata pienamente nei suoi classici americani. Il grande Heinlein aveva composto quasi contemporaneamente l’epopea del militarismo fascistoide con The Starship Troopers e la bibbia libertaria dell’hippismo militante (incluse le sue ricadute negative: Charlie Manson, ecc.) con Stranger in A Strange Land. La guerra del Vietnam dividendo l’America aveva scompaginato anche i ranghi dei science fictioneers: un annuncio a pagamento (5 dollari a firmatario) pubblicato contemporaneamente su Galaxy e If – le due riviste del fantastico più intellettuali dell’epoca – riportava su due pagine contrapposte l’elenco delle firme degli scrittori che si dichiaravano a favore (72 nomi) e contro (82 nomi) la permanenza dell’esercito yankee nel Sud Est asiatico.
Questo fronte contrastante si era riproposto anche in Italia costituendo una delle caratteristiche conflittuali costanti della storia, né particolarmente lunga né entusiasmante, della fantascienza nel nostro paese. Fin dal 1969 e poi nel 1970 e nel 1972, le prime antologie di racconti di autori esclusivamente italiani, pubblicate sulla gloriosa rivista “Galassia” di Piacenza, erano state curate da un insolito triunvirato composto da due piacentini di sinistra e da un romano di destra: Vittorio Curtoni, Gianni Montanari e Gianfranco de Turris. I risultati – un esordio tutto sommato abbastanza brillante per autori fino ad allora confinati in gran parte al mondo autoreferenziale delle fanzines, le rivistine autoprodotte degli appassionati, ma che si sarebbe limitato a una promessa purtroppo mai realizzata – non suonavano troppo stridenti nelle prime due raccolte Destinazione Uomo e Amore a quattro dimensioni, in cui il tema politico non era preminente, ma le contraddizioni deflagravano in modo paradossale nella terza, Fanta Italia: 16 mappe del nostro futuro, in cui si passava agilmente dal racconto filomaoista alla commossa agiografia ucronica del duce. Non stupisce che il terzetto si sciogliesse subito dopo e che i suoi membri proseguissero le loro sempre più rabbiose schermaglie negli anni seguenti da altre testate. Curtoni su “Robot”, forse la migliore rivista di fantascienza mai pubblicata nel nostro paese, e de Turris (insieme a Sebastiano Fusco) alla direzione della casa editrice Fanucci. Nel frattempo anche il pittoresco mondo delle fanzines rifletteva gli stessi schieramenti: da una parte c’era “Un’ambigua Utopia”, che s’interessava parallelamente delle Cronache marziane e di quelle marxiane, e dall’altra “Dimensione Cosmica”, che leggeva Tolkien alla luce di Evola.
Si creavano nel corso degli anni Settanta – decennio di boom dell’editoria fantascientifica e di implosione della lotta politica – anche una serie di luoghi comuni, in parte sfatati in seguito, riguardanti i vari sottogeneri della narrativa fantastica interpretati in chiave ideologica: secondo questa sbrigativa lettura, ad esempio, fantasy e horror sarebbero stati per definizione di destra mentre la science fiction si sarebbe collocata tutta e sempre a sinistra. Questa vulgata non era alimentata solo dagli interventi critici delle frange sinistrorse – assai più avvezze al ribellismo del rock che al realismo socialista o alle teorie estetiche lukacsiane – ma, specularmente, anche e forse più dalle elucubrazioni tradizionaliste e antimoderne – infarcite di riferimenti a Evola e Guénon o, bene che andasse, al Trattato di storia delle religioni di Eliade – con le quali i destrorsi amavano dottamente glossare e commentare testi spesso del tutto estranei alla loro vorace intenzione di fagocitarli e annetterli al magro patrimonio culturale della propria parte politica. In questo modo Tolkien diventava l’antesignano della Nuova Destra e i campi non più paramilitari ma simil-hippie che in quel contesto andavano nascendo, scimmiottando i raduni open air dell’opposta fazione, venivano battezzati proditoriamente campi Hobbit; così Lovecraft diventava – in virtù della pubblicazione, parziale e tendenziosa, dei suoi peggiori epistolari giovanili – un fascista e un razzista (dimenticando completamente le lettere più tarde che smentivano, almeno in parte, queste posizioni risalenti agli anni ’20 e ignorando soprattutto la natura metafisicamente sovversiva dell’opera di questo autore assai poco inquadrabile in categorie tanto limitanti); così infine certa hard science fiction – lo zoccolo duro della fantascienza, quella più tecnologica – veniva snobbata in quanto schematica e antiumanistica e avrebbe continuato ad essere sottostimata almeno fino agli anni Ottanta con il suo tardivo recupero, contemporaneo alla moda del cyberpunk.
Con la quasi guerra civile nelle strade e nelle piazze anche le lotte interne al piccolo mondo della fantascienza italica non potevano essere indolori. La rivista “Robot” chiuse baracca anche a causa della perdita di lettori causata dalle continue polemiche di Curtoni e dei suoi redattori con un pubblico prevalentemente apolitico che mal digeriva posizioni troppo schierate (una situazione non dissimile, nel clima però assai meno esplosivo di qualche anno prima, aveva portato anche alla chiusura della rivista più interessante del decennio precedente: “Gamma”). La casa editrice Fanucci, stanca di essere definita a priori – con termine approssimativo e improprio quanto abusato all’epoca per qualificare l’avversario – fascista, finì per interrompere bruscamente la collaborazione con l’evoliano de Turris (il meno compromesso Fusco sopravvisse ancora per qualche tempo) e riorientò completamente la propria gestione editoriale bordeggiando con destrezza fino ai successi di questi ultimi anni.
Nel frattempo, sfruttando il corso favorevole degli eventi, gli addetti ai lavori strafanno: le collane si moltiplicano, le case editrici specializzate proliferano, le riviste nascono e muoiono come funghi. Si esagera e il mercato giunge ad una rapida e definitiva saturazione. Nel corso della prima metà degli anni Ottanta tutto è già finito: the dream is over come cantava John Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles (ormai era finito davvero anche per lui).
Unite da evidenti risonanze sincroniche, politica e fantascienza si spegnevano insieme: dopo l’ultimo colpo di coda del ’77, i colori cedevano il passo al grigio, gli “anni di piombo” scandivano il conto dei morti e le strade venivano brutalmente – per dirla alla Claudio Lolli – “disoccupate dai sogni”: la lotta armata, la sconfitta militare, la repressione poliziesca, la marcia dei quadri per la riapertura dei cancelli a Mirafiori, le ronde psicopatiche dei NAR, l’eroina, la tragedia di Bologna….
E coi sogni anche Hijack the Starship naufragava miseramente: il fantastico non tirava più, c’era poco da fantasticare. Nessuna rivista di fantascienza sopravviveva in Italia (perfino l’immarcescibile “Urania”, improrogabile come il cappuccino e la brioche al mattino, stentava); nessuno scrittore italiano aveva varcato le soglie della professionalità (perché – Lucentini l’aveva detto – “un disco volante non può atterrare a Lucca”); i science fictioneers italiani – di destra o di sinistra che fossero – cambiavano mestiere: chi passava a fare il traduttore, chi il giornalista, chi si ritirava definitivamente a vita privata; tutto, come nel rock, diventava mestiere, routine, noia: la magia non c’era più; i lettori (tra cui anche chi sta scrivendo queste righe) lo sentivano e si stancavano, si disperdevano, passavano ad altri interessi e ad altre letture: solo diversi anni dopo, in un rituale privato incomprensibile a mogli, figli, fidanzate o mamme, avrebbero forse dissepolto con circospezione qualche volume consunto dalle seconde file della libreria e, brandite le cuffie, avrebbero scelto per accompagnare l’esumazione un vinile consumato degli Hawkwind: “…We took the wrong step years ago… “.
3 Più invecchio e più divento di sinistra (James G. Ballard)
Gli anni sono passati e naturalmente né la fantascienza né la politica sono morte. Le cose sono cambiate forse un po’ in meglio e forse un po’ in peggio.
Dopo tanta confusione, se non altro, di nuovo viviamo un periodo di schieramenti netti: global o no global; guerre contro il “terrorismo” o invasioni neo-colonialiste; flessibilità o lotta contro il precariato; no TAV o “grandi opere”; pacs o “famiglia cristiana”; Papi o “il più grande premier della storia”, ecc. ecc.
Recuperando alcune certezze, ci ritroviamo a leggere ancora “Urania”, scopriamo che “Robot” è resuscitata, che la Fanucci gode ancora ottima salute e non ci stupiamo vedendo un numero sempre maggiore di nomi italiani affacciarsi nel panorama, non proprio affollato ma neanche deserto, della narrativa fantastica e di genere nostrana. Forse finalmente un disco volante può atterrare anche a Lucca….
Rassicurati ci prendiamo gusto, il gioco ci piace, inforchiamo la bicicletta dei ricordi ed evochiamo “Un’ambigua Utopia”, la nostra fanzine preferita: le cronache marziane/marxiane ci convincono come allora, il binomio continua a reggere.
Oggi che la fantascienza italiana – la poca che resta in un contesto generale in cui il genere è stato, ahimè, spodestato da altre forme di fantastico meno impegnate e problematiche – in qualche modo sopravvive; oggi che la lotta politica rinserra ancora i ranghi e si sta ancora, finalmente, da una parte o dall’altra della barricata. Decidiamo di buttarci anche noi, di prendere posizione, di declinare a modo nostro una possibile visione parallela di fantascienza e politica: un’antologia che presenti quello che reputiamo il meglio della fantascienza politica italiana, o piuttosto, della fantascienza politica di sinistra italiana.
Un’operazione arretrata e azzardata ? Un nostalgismo da vecchi reduci superati dai tempi ? Speriamo di no.
Ci piacciono le scelte nette e precise non i mezzi toni; niente bipartisan, niente par condicio. Abbiamo voluto interpellare solo gli autori in sintonia con le nostre idee politiche e con la nostra concezione della fantascienza. Se qualcuno in passato ha (del tutto legittimamente) proposto con certo successo editoriale, un fantafascismo, noi ci permettiamo di rispondere (altrettanto legittimamente) con una fantaresistenza. Resistenza nel senso più vasto del termine: contro chi equipara il sacrificio di partigiani e repubblichini, contro chi ciancia di terroristi e di danni collaterali, contro chi conferisce medaglie d’oro ai mercenari, contro chi vuole imporci un ordine che non è il nostro (e la fantascienza, anche la fantascienza, ci ha insegnato che un altro ordine è sempre possibile…).
“Which side are you on?” scandiva incalzante il ritornello della vecchia canzone sindacale yankee incisa da Woody Guthrie e da Pete Seeger. Domanda opportuna. Noi lo diciamo subito e chiaramente da che parte stiamo: speriamo che anche chi non ci condivide apprezzi almeno la sincerità delle nostre intenzioni.
RIASSUNTO DELLE GALASSIE (ehm, volevo dire puntate) PRECEDENTI
Come già ieri con Gian Filippo Pizzo, anche questo scritto (pubblicato con l’autorizzazione dell’autore e della casa editrice) e il successivo di Antonio Caronia sono ripresi dall’antologia “Ambigue utopie” ovvero “19 racconti di fantaresistenza”, pubblicata in marzo da Bietti; spero che possano favorire una discussione fra amanti e detrattori della fantascienza, innamorati (anche respinti) dell’utopia, apocalittici, integrati e le moltitudini di non so. La mia recensione del libro su codesto blog è in data 9 giugno. Mi propongo di reintervenire e scatenare una rissa almeno pari al Big-Bang. Insomma una delle 27 cose che più mi piace è litigare con Antonio o con persone sagge e amiche come lui. (db)
dani,
mi esce tutto tagliato a destra!
Effettivamente Fiorella ha ragione, anche a me il testo risulta “mangiato” a destra
come mai?
se si esclude la spiegazione politica (il mio blog è fuori linea?), quella oltraggiosa (sono un cyber-pippone?) e quella detta “tana” (l’ho fatto apposta? per veder chi era attenta/o e chi no) RESTA soltanto la possibilità di una congiura fotonica. Proverò ad aggiustare il guasto domattina (si sa, giovedì gnocchi) con l’aiuto di super-Trotta ovvero l’uchibhrptq (l’uomo che in blog ha reso possibile tutto questo). Nel frattempo dite a Laura che l’amo ma che devo partire, mi insegue la Siae. (db)
Anche a me, forse tornando sulla pagina pubblicazione originaria puoi ovviare dando l’allineamento a destra.
Oppure taglia il corpo testo e vai ad incollarlo prima sul blocco note (pulisce da tutte le formattazioni precedente) e poi lo copi dal blocco e lo riincolli sulla pagina pubblicazione.
Acc… mi sono salvata: ero attenta!
Ciao Daniele.
clelia