White: automi e bugs

Il risveglio di Ross non è dei più facili. E’ solo, a parte il busto di Beethoven davanti al suo letto che d’improvviso si mette a parlare – con la voce del suo capo, il dottor Pellew – ma solo per raccomandargli la calma.

Lentamente gli tornano i ricordi. E’ un medico finito a lavorare in un ospedale di “incurabili” perlopiù eredi sfortunati della guerra atomica (scoppiata 30 anni prima che lui nascesse) e delle successive malattie, particolarmente drammatiche visto che la sterilità arriva al 40 per cento… Lui, come tanti altri,è affetto da un male incurabile: viene ibernato sperando che in futuro i progressi della medicina consentano di salvarlo.

Però, al suo risveglio, Ross si trova da solo: quanto tempo è passato? cosa è accaduto dalla sua ibernazione?

I corridoi sono puliti: come mai?

Con gran fatica, il debolissimo Ross trova un ufficio: «la cartella verde sul tavolo porta il suo nome». Il primo modulo gli è familiare: «datato 29 settembre 2017», il Grande Sonno cioè la sua ibernazione.

Continua a guardare i documenti: 14 giugno 2036, «nessuna cura»; 17 maggio 2233… possibile? A quella data legge che c’è una speranza. Di modulo in scheda arriva all’ultimo foglio: «7 ottobre 2308 con l’annotazione: “paziente rianimato”».

Non posso togliere il gusto della sorpresa a chi non conosce la storia. Pregi letterari e/o immaginativi a parte questo romanzo (del 1963, appena ristampato da Urania)può tornare utile per molte riflessioni e per questo l’ho usato per inaugurare una rubrica di «date future» sulla rivista «Cem mondialità».
Tre spunti per riflettere dunque. In primo luogo White immagina che la guerra atomica scoppi a causa del “guasto in un congegno d’allarme” protrattosi per tre settimane: abbastanza per arrivare al risultato drammatico di “1 sopravvissuto su 10”. Non solo l’incubo nucleare è sempre in agguato ma è bene ricordare che tanto più siamo potenti maggiormente rischiamo. Invece di cercare l’impossibile sicurezza assoluta forse vale ridurre i rischi.

In secondo luogo i robot. Stiamo parlando di super-servi o di macchine che possono evolversi? E’ giusto impigrirsi («chi c’ha ‘na comodità e nun se ne serve nun trova ‘n confessore che l’assorve» si dice a Roma) o le macchine luccicanti faranno arrugginire i nostri cervelli? E se i metalli si evolvono (anzi «urlano» secondo il celebre fumetto di Moebius) in che rapporto entreremo con loro? Ovvero qual è il confine fra vita e non vita? Con tutti gli annessi problemi filosofici e religiosi.

Dividerci, per l’ennesima volta fra «apocalittici» e «integrati» non giova molto: tre anni fa il Cem (centro d’educazione alla mondialità) suggerì di dar per scontato che il «post-umano è qui» e che prima di gettarci dal balcone potremmo ragionarne. Su questo costruì un convegno, un anno di riflessioni sulla rivista e poi un libro, appunto «Il post-umano è qui» (a cura di Aluisi Tosolini, per la Emi).

Philip Dick preferiva dirla così: «Il più grande cambiamento al quale assistiamo nel nostro mondo è probabilmente la quantità di moto del vivente verso la reificazione e allo stesso tempo del meccanico nell’animazione».

A completare questo volume della Collezione Urania (294 pagine, 5,50 euri) un altro romanzo di White: «Partenza da zero» (titolo originale: «Open prison»). Ben scritto però nel leggerlo – anzi rileggerlo e quasi nulla ne ricordavo – la mia inquietudine cresceva. Ma perbacco White non era un pacifista convinto, quasi militante? Se è così risulta incomprensibile che il romanzo, pur ben scritto, sia una continua offesa a chi non ha istinti bellicosi e di sfuggita pervaso di misoginia. Anche i nemici che non a caso vengono chiamati Bugs (insomma sono scarafaggi o peggio) vengono descritti come il male assoluto. Nelle ultime pagine del libro patapumf, un doppio colpo di scena nella trama e “ideologico”: giù il cappello dunque per il maggiore Warren – il militare più antimilitarista che io abbia incontrato – e per chi, come White, sa portarci all’inferno e poi ci svela che è il Paradiso (o viceversa).

Il prossimo della serie è un fanta-religioso che all’epoca fece scandalo: «I.n.r.i» di Michael Moorcock.

 

Redazione
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