Woodstock in jazz
di Max Zanetti
Fra il 15 e il 17 agosto 1969, 400mila persone si sono trovate nei pressi di Bathel, cittadina di 2366 abitanti all’interno dello stato di New York, per partecipare all’evento più social al tempo in cui selfie e like erano ancora molto lontani da diventare fastidiosamente pervasivi: il Woodstock Music and Art Fair.
Nel libro «The Road To Woodstock» (pubblicato nel 2009 da ECCO) il produttore del festival Michael Lang racconta che per lui «Woodstock ha rappresentato un modo per capire se le persone della sua generazione credevano in loro stesse e nella visione del mondo che stavano cercando di creare».
Michael Lang nasce a Brooklyn a metà degli anni Quaranta. I primi contatti con il mondo della musica avverranno grazie alla passione del padre nel cercare sempre nuove opportunità imprenditoriali come quella che, a metà degli anni Cinquanta, lo porterà a diventare socio del Latin Nightclub nell’Upper West Side.
Dall’Upper West Side al Greenwich Village la distanza è breve, ed ecco che Michael Lang inizia a frequentare locali come il Village Corner, Il Village Gate e soprattutto il Five Spot Cafè.
Al Five, Lang ascolta John Coltrane «andare oltre il limite della sua musica e senza alcuna rete di protezione». John Coltrane suona al Five con Thelonious Monk (Complete Live At The Five Spot, 1958 – Thelonious Monk quartet with John Coltrane) e dalle registrazioni delle serate del 1958 prenderà vita anche il famoso album Misterioso di Monk1.
L’atmosfera unica del Five attrae, negli anni, sempre più persone, inclusi artisti e scrittori che ne diventano frequentatori abituali, fra cui Jack Kerouac e Allen Ginsberg che al Five terrà un reading di poesie nel 19642.
Ciò che Michael Lang matura vivendo le sue esperienze giovanili tra i club del Village è che «la controcultura si stava sviluppando oltre quella che era la Beat generation andando ad aprire la scena Folk».
Aveva ragione e questo segnerà, a partire dalla seconda metà degli anni 60, il raffreddarsi dell’interesse per i jazz club di New York a favore di concerti folk e rock.
L’anno di Woodstock ha visto la pubblicazione di due pietre miliari nella contaminazione fra jazz, rock e fusion: In a Silent Way di Miles Davis e Hot Rats di Frank Zappa.
Mentre Davis gravitava in un’altra orbita rispetto al Festival (preferendo le incisioni in studio) Zappa, invitato a partecipare a Woodstock, finirà per declinare a causa del maltempo e del troppo fango.
Chi invece nonostante tutto non è mancato, è stato Jimi Hendrix.
Jimi aveva iniziato a suonare al Cafe’ Wha?, altro storico locale al Greenwich Village tutt’ora aperto, che aveva visto gli esordi di un giovanissimo Bob Dylan appena arrivato a New York nel gennaio 19613.
Nel 1968 Michael Lang aveva dato 5.000 dollari a Hendrix per suonare al Miami Pop Festival. Un anno dopo Jimi era diventato uno dei musicisti più pagati al mondo, arrivando a guadagnare 150.000 $ per una serata al Madison Square Garden. Michael Lang aveva un budget massino di 15.000 dollari per gruppo da poter spendere a Woodstock e alla fine strappò un sì da Hendrix con la promessa di farlo suonare per due serate, garantendogli così un compenso di 30.000 $.
Woodstock è stato un evento unico e irripetibile, nato dall’intuizione di Michael Lang e dalla sua tenacia nel navigare attraverso i continui ostacoli che gli si presentavano di fronte. I lavori per la preparazione del concerto sono andati avanti per settimane, incessantemente. L’unico giorno in cui Micheal Lang e il suo team si sono presi una pausa è stato il 20 luglio. Scrive Lang: «Sabato ci siano presi una pausa […] per vedere l’atterraggio e la passeggiata di Neal Armstrong sulla Luna. Che ironia! L’America stava mandando un uomo sulla Luna e noi stavamo solo cercando di atterrare sulla Terra». Alla prossima intuizione.
http://purehistory.org/the-five-spot/
https://jerryjazzmusician.com/2014/10/moment-time-monk-coltrane-five-spot-1957/
https://www.loudersound.com/features/hendrix-the-gigs-that-changed-history-3-cafe-wha
LE IMMAGINI – scelte dalla “bottega” – sono di Jacek Yerka. Lo conoscessi gli avrei detto così: “caro Jacek, per questo post mi piacerebbe un quadro dove un sax-razzo atterra sulla Luna e pianta la bandiera-chitarra di Jimi Hendrix. Però fai come ti pare, eh? Tanto, vecchio Jac, ti amo lo stesso”.
Woodstock senza politica, senza un impegno di auto-difesa della nazione è una mistificazione.
Abbie Hoffman (1971)
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Fred Weintraub, il dirigente della Warner Brothers, responsabile del film su Woodstock, mi ha confessato che hanno deciso di “purgare” dalla versione di celluloide tutto quanto sapesse di politica. (…) E così mentre il mio libro dipingeva Woodstock come un grande grido di battaglia per legalizzare l’erba, fermare la guerra e combattere una cultura decadente, il film decantava il potere del rock e la bontà del capitalismo. Soltanto gli ex radicals come Fred Weintraub, Jann Wenner, che s’è fatto le ossa a “Ramparts”, e Bill Graham, che ha iniziato con la San Francisco Mime Troupe, sono stati abbastanza furbi da capire sin da subito che il rock poteva svolgere un importante ruolo politico. Degni avversari nella battaglia per i cuori e le menti dei giovani, costoro hanno vinto a mani basse la guerra d’immagine di Woodstock.
Abbie Hoffman (1980)