Yerka e non Yerka / 1

Artisti a confronto – di Mauro Antonio Miglieruolo

Ricomincia una sorta di terza serie delle opere di Jacek Yerka. Durerà venti puntate. L’intenzione è diversa dalle precedenti. Yerka resta al centro dell’interesse, ma in un continuo confronto con altri artisti, contemporanei e non. L’obiettivo è, attraverso questo confronto, conoscere un po’ meglio lo stesso Yerka; e iniziare a indagare sulle esperienze evolutive dell’arte che hanno portato fino a lui.

Utile anche per esaminare i primi effetti che l’attività del grande polacco ha prodotto sui suoi contemporanei.

PRIMA PARTE: YERKA

Un lavoro del miglior Yerka, quello in cui il delirio onirico s’accoppia con l’ispirazione fantascientifica. L’immagine, come tante di Yerka, vale un racconto. I diversi elementi che la compongono sono meravigliosamente fusi insieme per produrre incanto e meraviglia, mentre ognuno apporta un diverso elemento descrittivo. L’ambiente interno, ad esempio, che sembra quello di una cattedrale sottomarina, coinvolta in chissà quale cataclisma. Gli  ibridi metà pesce o uccello, metà macchine, frutto di esperiementi di “scienziati pazzi”, la cui attività probabilmente è all’origine del singolarissimo interno illustrato (sono cioé responsabili degli avvenimenti che lo hanno creato).

Non incombe comunque il solito spirito catasfofistico. L’agglomerato di esseri che procede in un insieme piramidale sul piccolo carro armato al quale è affidato, non ci parla di guerra, di combattimenti, d’ansia di prestazione. Tutto procede tranquillo. Ognuno è sereno nella funzione insondabile che svolge.

Siamo nell’oltre della fine del mondo. Forse negli inizi di un nuovo mondo. O di un diferente modo di guardare alle cose del mondo.

 

Un secondo classico tema di Yerka. La commistione miracolosa e armoniosa di temi differrenti, estranei tra loro, apparentemente inadatti a essere combinati. L’arbitrio logico sembra regnare sovrano. Ci si rende facilmente conto tuttavia che è regolato in modo tale da assoggerttarlo alla tirannia dell’intelligenza artistica. Una intelligenza che sa e che sente: sa molto più di quanto sappia la scienza televisiva e sappiano le sterminate biblioteche dell’Accademia. Non uno di quegli elementi, che pure l’artista aggiunge instancabile, con intento polemico, disturba o appare superfluo. Siamo in un giorno tranquillo nell’ordinario di un ritorno a casa.

Anche alla meraviglia è stata messa la sordina…

 

Siamo nell’Eden, un Eden a misura di Yerka. Il momento che l’autore coglie precede la cacciata dell’umanità che ancora può pensare a colazioni sull’erba, abitazioni incastonate nel sogno e prospettiva lontane nelle quali perdersi.

Ma forse non siamo nell’Eden. Siamo semplicemente sulla Terra  e quello a cui assistiamo è un momento ultimo di felicità: ancora un poco e l’umanità caccerà se stessa dall’onesto “paradiso” che aveva costruito.

 

Altro tema classico, presentato spesso con piccole variazioni. Il ricordo del tempo che fu, d’una vita che sapeva ancora essere natura oltre che cultura. che sapeva guardare al mondo, oltre l’orizzonte angusto del digitale. Il quale è descritto come amplissimo. Onnipotente. Ma è un inganno. Non c’è spazio in quel mondo. Non spazio per la vita in quanto vita e spazio per pensieri che siano liberi pensieri. E non c’è neppure onnipotenza, essendo la sua potenza riflesso di quella del danaro.

Con la volontà possiamo andare oltre: verso un futuro nel quale non tutto è programmato. Può persino succedere che, imprevedibilmente, dall’alto di un armadio faccia capolino un angioletto. Non per provocare in noi un momento di tenerezza ma per ricordarci che quel bambino vive ancora dentro di noi; e noi criminalmente non gli diamo spazio d’affacciarsi sul mondo.

 

Uno dei temi preferiti da Jacek Yerka. I luoghi in rovina, abbandonati dagli esseri umani eppure ancora (a volte) frequentati. Non è il mistero o la vetustà che interessa. È piuttosto la realtà del tempo che produce storia, ma anche nostalgia. E attonita contemplazione di un passato che non passerà mai del tutto finché ci saremo noi a ricordarlo.

 

Unità uomo/natura. Unità indissolubile, che pure ignoriamo o quantomeno sottovalutiamo. Yerka contrasta presentando immagini spinte d’una fusione accentuata eppure imprescindibile. La cultura è niente senza natura. La natura perde ogni senso se non c’è una cultura a valorizzarla o metterla in discussione.

 

Qui Yerka esibisce una capacità sorprendente di innovare. Ma sempre all’interno di una tendenza evolutiva che contempla nuove linee di sviluppo della natura.

Noi non possiamo che ammirare. Neanche con i commenti ci riesce di avvicinare il poeta.

 

La casa va a fuoco. Innumerevoli piccoli recipienti sono disposti per organizzare una catena umana di salvataggio. Uomini però non ce ne sono. Non più ai tempi del colera e della moneta virtuale (colera economico). Dal cielo, nell’apertura di un intrico di rami che funge da cielo, arriva la speranza. Povera speranza, non aiutato da chi non s’aiuta.

 

SECONDA PARTE: NON YERKA

Autoriritratto.

Taccio. Sarebbe sconveniente considerare. Eva si può ammirare, su di essa mai si dovrebbe commentare.

 

Noto l’esagerazione. Noto la grazia. Noto la staticità del costruito. A parte questi tre elementi, nonché le differenze di stile, non si distingue in modo significativo da Jacek Yerka. Dalla capacità di quest’ultimo di combinare elementi eterogenei in un insieme di armonia.

 

Ancora lei? Amabile, certo. Spero lo sia stata. Molto, molto amata. Fa bene al cuore  ogni notizia che conferma, informa, allude alla reraltà di due anime che sono riuscite a incontrarsi.

 

Sarebbe interessante capire il perché del tema, ripetuto molte volte, con picole e grandi variazioni, in Julie Heffernan. Come ci fosse qualcosa che l’interessa, o la ossessiona, che però mai riesce compiutamente a esprimere. Leggendo l’insieme delle varianti si riuscirà certamente a venire a capo del mistero di questo qualcosa.

Una delle sua immagini più gradevoli. Come sempre incentrata sul tema delle sfere. Ridotte a tanti piccoli corbezzoli che sembrano essere i frutti attraverso i quali si può toccare il cielo.

Nessuno potrà mai mettere in discussione questa immagine. E cambiare l’attribuzione a Julie Heffernan.

Altro tema centrale di Julie Heffernan, la donna. Donne d’una bellezza irreale, attraenti ma non date per indulgere nel carnale. Il primo impatto è l’ossequio dovuto al trascendentale, al femminile.

Qui mi sembra di poter dire che (la bellezza) sia data come fonte della vita. Tutto proviene da lei e dai suoi sogni.

 

Chiudiamo in bellezza con la bellezza del caos primordiale, con il fascino di un sogno che continua a ispirare l’ordine delle cose.

 

Temo di non essere in grado di offrire una sintesi. Una che sia ragionevole e convinca me, prima che i lettori.

Gli obblighi che mi sono assunto iniziando questa Terza Serie mi inducono comunque due frasi a scriverle. E allora parlerò di compostezza classica (Yerka) contro la irruzione della vita intesa come rivoluzione nel senso (Heffernan). Del sogno (Heffernan) che diventa veicolo di archetipi e di ideale affermazione della vita; e diventano richiesta di innocenza, nel moltiplicarsi degli elementi, tanto da coprirsi gli uni con gli altri (il caos). Là dove Yerka non manifesta questo biosgno collocato com’è su un versante nel quale il caos, sempre misurato, non è che un elemento costitivo dell’ordine: del prodotto finale.

Sognano e ci invitano a sognare ambedue. Ambedue fingendo di essere in sé, mostrando di sapere quello che stanno facendo. Di saper stare con i piedi ben piantati in terra. Heffernan stando ferma su un messaggio vitalistico, particolarmente evidente quando ci parla delle donne e di sé come donna; Yerka esplicitando il disordine sistematico che regna nella cose e del quale si serve per fondare un suo sistematico particolare ordine, quello dei piedi ben piantati in aria.

Ambedue, mi sembra poter concludere, con la testa dentro le cose del mondo.

continua sabato prossimo

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *