Assange: «Operazione Hotel»

di Checchino Antonini

Se la vicenda di Julian Assange fosse davvero un film di spionaggio si dovrebbe titolare «Operazione Hotel». Ma non somiglierebbe affatto alla sceneggiatura hollywoodiana grazie alla quale il fondatore di Wikileaks viene dipinto come una spia dagli avvocati dello Zio Sam che ne esigono l’estradizione per affibbiargli 140 anni di prigione. Piuttosto sarebbe la storia di come Assange e la sua famiglia sono stati spiati per conto dei servizi segreti di Washington. Dell’Operazione Hotel si sta occupando un giudice spagnolo, in parallelo con le udienze londinesi sull’estradizione di Assange.

Questa storia non è girata molto in Italia.

Mediapart, un sito di informazione indipendente francese, ha potuto consultare documenti che descrivono in dettaglio la sorveglianza dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove il fondatore di WikiLeaks era rifugiato. Il sistema giudiziario spagnolo, infatti, ha concesso a fine gennaio, lo status di “testimoni protetti” a tre ex dipendenti della UC Global. Dalla fine del 2017 avrebbero spiato in segreto per conto dei servizi americani i minimi atti e gesti di Julian Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, così come quelli dei suoi parenti e dei difensori. E’ stata proprio WikiLeaks a denunciare la UC (Undercover) Global e il suo CEO, David Morales, quando i tre hanno fornito numerose e-mail interne, foto e video, e si sono dichiarati pronti a testimoniare, a condizione di ottenere lo status di “testimone protetto”.

«Operazione Hotel» è il nome dato internamente al sistema di sorveglianza dispiegato intorno a Julian Assange dal dicembre 2017.

Fondata nel 2007 da un ex soldato spagnolo, David Morales, UC Global è rimasta per diversi anni una società relativamente modesta, il cui contratto principale era quello di fornire sicurezza alle due figlie dell’allora presidente ecuadoriano Rafael Correa mentre studiavano a Londra.

Nel 2015 l’ambasciata vuole risolvere un problema amministrativo ricorrente. I suoi vigilantes ecuadoriani ogni volta che si recano nel loro Paese d’origine devono richiedere un visto al loro ritorno, il che può richiedere diverse settimane e causare un sacco di burocrazia. Così l’ambasciata decide di rivolgersi a una società di sicurezza di lingua spagnola, con sede in un Paese dell’Unione Europea. Il contratto con la UC Global è stato firmato con i servizi di intelligence ecuadoriani, il Servicio Nacional de Inteligencia de Ecuador (SENAIN) attraverso una società con sede in Florida e legata all’aviazione civile ecuadoriana.

Lo stesso anno, David Morales è andato da solo a Las Vegas per presentare la sua azienda a una fiera specializzata nel settore della sicurezza. Avendo solo questo contratto da sottolineare, elogia il suo lavoro per l’ambasciata ecuadoriana, insistendo sulla particolare situazione legata alla presenza di Julian Assange. Così viene avvicinato dal capo della sicurezza della società Las Vegas Sands, di proprietà di Sheldon Adelson, un amico personale di Donald Trump, che si è offerto di lavorare con i servizi segreti americani inviando loro informazioni su Julian Assange e i suoi sostenitori.

Secondo le testimonianze dei dipendenti citati nella denuncia, al suo ritorno, David Morales ha riunito tutta la sua squadra e ha annunciato che «d’ora in poi giocheremo in prima divisione». Quando i dipendenti gli hanno chiesto cosa intendesse per “prima divisione”, ha risposto che la sua azienda era passata «al lato oscuro». Il responsabile di UC Global non ha mai specificato l’identità esatta di questo nuovo cliente. Da allora, David Morales ha iniziato a fare regolarmente su e giù con gli Stati Uniti, a New York, Washington e Las Vegas, per informare «i nostri amici americani», come si legge nelle mail interne e come spiegherà ai suoi collaboratori. Ma, all’epoca, si trattava di scarno materiale video e muto.

La partnership tra UC Global e il suo cliente americano assume una dimensione molto più pervasiva dopo l’elezione di Donald Trump nel novembre 2016. L’organizzazione della sicurezza dell’ambasciata viene ridisegnata per implementare l’Operazione Hotel con Julian Assange che negli scambi mail verrà indicato come «il cliente». Morales seleziona alcuni tecnici direttamente sotto il suo comando e si assicura il controllo totale del sistema di videosorveglianza. All’inizio del 2017 ha chiesto al suo reparto informatico di preparargli un telefono e un computer sicuri per comunicare in forma criptata con i suoi «amici americani».

La corrispondenza recuperata dagli avvocati di Assange mostra la crescente pressione esercitata nei mesi successivi da Morales sui suoi dipendenti, ai quali ha trasmesso le richieste sempre più precise e invasive degli Usa. Una delle richieste principali era quella di poter registrare le conversazioni, in quanto le telecamere allora in funzione non consentivano la registrazione del suono. Morales ha insistito affinché si scegliesse un modello in cui il microfono non fosse visibile.

Le nuove telecamere saranno installate nel dicembre 2017. Ma la qualità del suono lascia a desiderare, soprattutto perché Assange, che sa di essere osservato, utilizza un generatore di “rumore bianco”, un dispositivo in grado di disturbare le registrazioni sonore. Morales, da quanto si sa, ha chiesto al personale dell’ambasciata di fotografare vari oggetti nella sala riunioni per decidere come mimetizzare al meglio i microfoni nella sala. La scelta è caduta su un estintore proprio accanto alla sedia dove siede abitualmente Assange. Un altro microfono verrà collocato nel bagno delle signore, l’unica stanza che il fondatore di WikiLeaks pensava fosse protetta e dove si rifugiava per le sue discussioni più delicate.

Ma la qualità delle registrazioni non soddisfa ancora gli amici americani. Nel marzo 2018, David Morales ha fatto installare dei filtri sonori per mitigare gli effetti del generatore di rumore bianco. Ha anche chiesto ai suoi dipendenti di apporre un adesivo che avvisa della presenza di telecamere a circuito chiuso nell’angolo superiore sinistro di ogni finestra esterna dell’ambasciata. In realtà si trattava di un’altra richiesta americana: per migliorare la qualità delle registrazioni sonore gli adesivi celavano un dispositivo che permette di ascoltare una conversazione attraverso una finestra utilizzando un laser che misura la vibrazione del vetro.

La sorveglianza della UC Global non si limita alle registrazioni. Il personale dell’ambasciata è stato incaricato di registrare tutte le informazioni disponibili sui visitatori di Julian Assange e gli è stata persino fornita una lista di obiettivi “prioritari”. In una e-mail inviata il 21 settembre 2017 a diversi dipendenti, Morales ha lamentato la mancanza di informazioni su alcuni di loro. «Non ci sono dati… i file sono molto incompleti ed è necessario avere le loro foto, così come le descrizioni delle loro funzioni o attività – ha scritto – in particolare, devono essere creati e aggiornati i seguenti profili (dati personali, relazioni con “il cliente”, numeri di telefono, e-mail, numero di visite, etc.) per questi visitatori abituali e collaboratori del cliente». Fra gli spiati: la giornalista Sarah Harrison, stretta collaboratrice di Assange, Jennifer Robinson, il suo avvocato inglese, Baltasar Garzón, pedinato anche fuori dall’ambasciata, il suo avvocato spagnolo, e Renata Ávila, un’attivista guatemalteca.

Queste informazioni sono state raccolte con tutti i mezzi. All’arrivo all’ambasciata, i visitatori dovevano lasciare i loro dispositivi elettronici alla reception, dove venivano scandagliati dentro e fuori per recuperare tutte le informazioni possibili, compreso il numero IMEI (International Mobile Equipment Identity) che poteva essere utilizzato per facilitare l’hacking. Sono stati fotografati anche tutti i documenti personali disponibili. In alcuni casi, i dipendenti sembrano essere stati in grado di recuperare anche le password e i PIN dei visitatori. Una sorveglianza che non ha risparmiato nessuno, nemmeno il capo della SENAIN, il colonnello Rommy Vallejo.

Morales quando il 21 dicembre 2017 visita Julian Assang riceve un rapporto dettagliato dell’incontro.

Nell’ottobre 2017, il capo della UC Global ha ricevuto un rapporto su alcune delle riunioni riservate dell’avvocato Garzon con tanto di foto paparazzate di un incontro fra lui e l’ex presidente ecuadoriano Correa all’aeroporto di Madrid-Barajas.

Morales arriva al punto di chiedere ai suoi dipendenti di recuperare un pannolino da un bambino che va regolarmente a trovare Assange con la madre per analizzare le sue feci e determinare se può essere suo figlio. Ma i dipendenti, riluttanti hanno avvertito la madre, chiedendole di non portare più il figlio all’ambasciata.

Questo perché l’«Operazione Hotel» è un film che non piace a tutti nemmeno all’interno della UC Global. Secondo le testimonianze raccolte dai difensori di Assange, diversi dipendenti hanno espresso il loro disagio per le richieste degli “amici americani” del loro capo. Alcuni di loro hanno deciso di denunciare le sue azioni quando si sono resi conto che «David Morales aveva deciso di vendere tutte le informazioni al nemico, gli Stati Uniti» recita la denuncia. Per non parlare del fatto che Morales è sempre riuscito a mantenere il controllo assoluto su questo dossier ed era l’unico in contatto con il misterioso sponsor. Nel 2017 ha chiesto a un dipendente di creare in parallelo un sistema di accesso diretto e remoto ai video, configurato in modo da poter essere consultato dagli americani all’insaputa delle autorità ecuadoriane. Diverse e-mail interne confermano la natura clandestina delle attività della UC Global. In una di esse, inviata il 21 settembre 2017, David Morales ha avvertito diversi collaboratori: «il SENAIN sta indagando su di noi. Per questo motivo vorrei che la mia posizione fosse gestita con riservatezza (soprattutto i miei viaggi negli USA)».

Le tensioni nella società sono state anche esacerbate dallo sfoggio del nuovo stile di vita dell’ex militare: appartamento in un quartiere bene e macchina di lusso. Voci all’interno di UC Global sostengono che il contratto con gli Stati Uniti gli frutta 200mila euro al mese. Un colpo di fortuna di cui i dipendenti non riescono neppure a vedere il colore. Alcuni sospettano che il loro capo nasconda il denaro a Gibilterra, dove si reca regolarmente.

Secondo El País, durante l’udienza davanti al giudice istruttore, i tre ex dipendenti hanno confermato tutti gli elementi presentati nella denuncia e gli hanno consegnato i documenti per dimostrare le loro accuse. In particolare, hanno fornito “indirizzi IP” che permettono di localizzare la posizione dei computer che si erano collegati al server della UC Global dove erano conservati i dati su Assange, e che indicavano diverse posizioni negli Stati Uniti. Una serie di messaggi sono stati inviati dalla città di Alessandria, vicino a Washington DC, all’inizio di marzo, quando WikiLeaks ha iniziato a pubblicare la serie di documenti “Vault7”, che descrive in dettaglio gli strumenti di intrusione e spionaggio utilizzati dalla CIA.

Oltre a Julian Assange, diverse altre vittime dello spionaggio della UC Global hanno presentato denunce, tra cui – come ha rivelato a Mediapart lo scorso novembre – il suo avvocato francese Juan Branco. David Morales è stato arrestato a settembre 2019. La sua casa e il suo ufficio sono stati perquisiti e la sua attrezzatura informatica è stata sequestrata. Gli investigatori hanno anche trovato due armi da fuoco con numeri di serie limati e 20mila euro in contanti. Il CEO di UC Global è stato successivamente rilasciato su cauzione. Il suo passaporto è stato confiscato e deve presentarsi in tribunale due volte alla settimana.

 

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